Oggi comunismo e capitalismo hanno le stesse logiche produttive: banche, sfruttamento mano d’opera, speculazioni finanziarie determinano le fortune cinesi e i disastri del nostro vecchio mondo: Servono automi obbedienti che devono pensare solo a produrre. Un umanesimo ancora sconosciuto forse ci salverà (ma non cambiando governo, purtroppo).
La maggior parte delle persone che conosco immagina la “democrazia” come un processo sociale in progress, magari lento, che sviluppa conquiste sociali durature. Tale convinzione deriva dalla storia della nostra Repubblica, nata dopo le allucinanti e tragiche esperienze del fascismo e della seconda guerra mondiale, dove un paese distrutto, povero, ignorante, bigotto, trovò nella democrazia un deciso miglioramento delle sue condizioni di vita, che, con il “miracolo economico” e le conquiste delle lotte operaie, offrì un decente livello di vita per le classi subalterne, enormemente migliore di quello del periodo storico precedente.
La controffensiva della destra contro gli ideali e la prospettiva del comunismo, cominciata con la strage di Piazza Fontana, aiutata dai servizi segreti americani e dal Vaticano, in pochi decisivi anni, dal ’68 al 1980, liquidò il “sol dell’avvenire” e Berlinguer ne scrisse l’epitaffio affermando che “preferiva l’ombrello Nato al Patto di Varsavia”.
Tramontata l’idea di una economia pianificata e tramontata la speranza di riscatto per la classe operaia e lavoratrice, ecco l’appiattirsi della sinistra sulla sempre verde ideologia capitalista, con le sue logiche di sempre: privatizzazioni, liberismo senza regole, concentrazioni monopolistiche, favoreggiamento della immigrazione capace di ricattare i lavoratori messi di fronte ad un esercito di riserva pronto a tutto.
E’ un fatto che, finita la fase della speranza,degli ideali e del radicamento territoriale, progressivamente sono state erose tutte le conquiste, fino all’attuale squallore del precariato, della dittatura di Marchionne con la complicità dei sindacati tutti venduti (eccetto la FIOM), con la chiusura di interi settori produttivi per delocalizzarli all’estero e la diffusione del lavoro nero.
Tutto ciò è avvenuto in una cornice democratica, ma in realtà è stata espressione della potenza delle oligarchie economiche e della telecrazia da esse posseduta.
Ora siamo in una situazione di stallo, di crisi, dominata dagli eventi della globalizzazione che è in grado di strapparci altre quote di mercato, le banche lo sanno e non danno crediti, e la “ripresa economica” auspicata da tutti, destra e sinistra, non ha basi né fondamenta.
Nel frattempo qualsiasi idea favorevole al comunismo è stata annientata dalla realtà della Cina che, come uno stato capitalista, ha bisogno di masse da avviare al lavoro, dove non sono ammesse rappresentanze dei lavoratori, messe in condizioni nocive e pericolose (basta ricordare i frequenti incidenti nelle miniere), con orari e ritmi intensi, con una sanità a pagamento. Schiavi salariati esattamente come da noi.
Capitalismo e comunismo reale hanno oggi le stesse logiche produttivistiche, comandano, ed entrambi hanno bisogno di obbedienti automi che devono pensare solo a produrre.
La storia dell’umanità non potrà mai fregiarsi del titolo di civiltà fino a quando ci sarà una struttura produttiva dominante in cui l’uomo viene dopo il profitto.
Ci vuole una strategia di lungo respiro che tenda a produrre tutti i beni di cui abbiamo bisogno nelle forme: individuale, familiare, cooperativo, indicando nel lavoro salariato una forma di schiavitù da abolire.
La globalizzazione capitalista, gli imbrogli e le speculazioni delle banche, WTO, FMI, Banca Mondiale, le multinazionali, ci hanno portati ad una crisi economica e ambientale insostenibile, e i paesi più deboli rischiano concretamente la disgregazione sociale e il fallimento, Italia compresa.
Credo che uscire da questa logica infernale e assurda sia un imperativo categorico per chiunque comprenda la strutturalità della crisi. Crisi che non può essere affrontata con i vecchi schemi e con le vecchie nomenclature politiche.
Credo che oggi in Italia vi siano milioni di persone, giovani e meno giovani, che non vedono futuro e sanno che Bersani al posto di B. non cambierà nulla.
Se non si esce dalla gabbia delle istituzioni internazionali, di cui ho accennato prima, dalle alleanze militari, dalla comunità europea, che non è comunità né soggetto politico ma una associazione di paesi in competizione tra loro, saremo sempre di più sottoposti a speculazioni finanziarie internazionali che ci possono far fallire, senza una indipendenza reale, senza la possibilità di programmare la nostra indipendenza energetica ed alimentare al di fuori delle regole del mercato, difendendo la nostra economia e i nostri produttori.
L’entità del nostro debito pubblico è tale che non può essere ripianato se non condannando la nostra economia (visto gli interessi che dobbiamo pagare sul debito) al sottosviluppo, senza soldi per la ricerca, la cultura, l’innovazione, i servizi sociali, dove in effetti le leggi finanziarie già ora tagliano a tutto spiano, dandoci quella percezione negativa di essere senza futuro.
Questa situazione globale sta benissimo ai paesi forti, come la Cina, che comprano interi pezzi di paesi, comprano il loro debito pubblico e, di fatto, ne diventano i veri padroni, in un neocolonialismo economico che non è meno pervasivo e dittatoriale del colonialismo classico.
Solo uscendo dalla moneta unica, dagli organismi internazionale, dalle alleanze militari, e consolidando il debito, possiamo vedere un futuro in cui cominciare a pensare a produrre in Italia le cose di cui abbiamo bisogno, con la strategia della autonomia dal petrolio con tutte le rinnovabili possibili (solare, eolico, biomasse, idroelettrico, geotermico), senza grandi impianti, ma diffuse capillarmente sul territorio e ad una agricoltura che produce con piccole e piccolissime aziende tutto ciò di cui abbiamo bisogno, biologico e a km zero, in una realtà da sviluppare poiché oggi produciamo solo il 30% del nostro fabbisogno alimentare.
Non facciamoci illusioni! Nella attuale situazione internazionale, con il nostro debito pubblico, con i nostri giovani migliori che fuggono nei paesi forti dove si fa ricerca e si investe nelle risorse umane, in Italia semplicemente non c’è futuro e tutte le merci possibili presto arriveranno a prezzi stracciati da paesi come il Vietnam, l’Indonesia, il Bangladesh, il Brasile e via elencando.
Oggi e soprattutto domani, il mondo sarà dominato dalle potenze finanziarie internazionali capaci di far fallire interi paesi per impadronirsi delle infrastrutture e delle materie prime, dalle multinazionali, dalla forza militare occidentale che interverrà dove non arriva il “mercato”, e da quei paesi la cui risorsa maggiore è la forza lavoro a basso costo, che sarebbe vano e impossibile inseguire sul terreno della competitività (che vuol dire più lavoro e meno salario).
Tutta la nostra classe politica sembra non accorgersi del nostro incerto futuro.
Riassumendo. Noi in Italia non abbiamo materie prime, non abbiamo manodopera a basso costo, non abbiamo banche o multinazionali di grande peso, non siamo una potenza militare, non abbiamo strutture di ricerca ad alto livello.
Ma restiamo tutti prudentemente immobili.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)