La libertà online di un giornalista di carta
30-12-2011
di
Ivano Sartori
Nella mia trentennale attività svolta nei giornali, la collaborazione a Domani occupa una posizione anomala. Non tanto per la forma del settimanale on line rispetto alla carta stampata quanto per altre due «tipicità» che proverò a spiegare. Abituato a scrivere per mensili e settimanali, raramente per i quotidiani, sono impressionato dalla velocità. Tra scrittura, impaginazione e primi riscontri non pssano che poche ore. Le reazioni, i commenti, non hanno la classica forma delle lettere al direttore, destinate a essere selezionate o cestinate dopo una lunga attesa e sempre circonfuse da una certa aura di protagonismo minore o di imitazione del giornalismo maggiore.
No, nel caso di Domani le reazioni sono immediate. Si diuscute a caldo, prima che il corpo della notizia o dell’opinione si raffreddino. Il che può dare l’idea di una certa improvvisazione (anche qui non mancano prezzemoli e tuttologi), ma anche di una benefica genuinità. Nel senso che il lettore-commentatore bada più alla sostanza che alla forma della scrittura. Vuole arrivare a capire di più e a sapere di più insieme a chi ha scritto l’articolo.
L’altra novità che ho avuto modo di scoprire aderendo a Domani è l’assoluta libertà di scrittura. Sei disciplinato solo dalla tua coscienza e dalla deontologia. Nessuno che ti induca a lasciar perdere gli argomenti delicati o scottanti, a omettere nomi ad alta tensione («chi-tocca-i-fili-muore»), a battere percorsi secondari per evitare le pericolose strade maestre infestate da politici e uomini d’affari con la ritorsione facile. E soprattutto ti libera da quel cancro interiore che è l’autocensura, tumore provocato comunque dal clima di un ambiente avvelenato da paure e titubanze.
Non bisogna ridere di quello sciocco che in questi giorni si è evirato per togliersi il malocchio. Nei giornali, fatte le debite proporzioni, accade tutti i giorni. Esempio. La Gazzetta di Parma rievoca l’attentato al monumento al partigiano avvenuto nella città ducale cinquant’anni fa intervistando l’autore del gesto, a suo tempo condannato. Nessuna foto, solo il suo nome: Ettore. Nel dicembre del 1961 ne aveva pubblicato anche il cognome: Napoli. Come si può chiamare questo passo indietro? Rispetto della privacy o paura di una querela?
Giornalisti, direttori ed editori oggi pretendono di fare i giornali senza rischiare nulla. E così dopo aver le smargiassate contro con Gheddsafi in fuga, oggi leggeremo gli articoli di tanti maramaldi sul defunto dittatore nordcoreano Kim-Jong-Il. Così faran tutti. L’apologia della democrazia e del politically correct a costo zero. Una pacchia. Ecco, su Domani questa giornalismo facile e un po’ vile non l’ho mai visto.
Ivano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.