Il tormento degli intellettuali dell’Avana. Pubblicano una lettera che mette in guardia contro “la repressione silenziosa”. Si è rifiutata di firmarla Yoanni Sanchez, la ‘bloguera’ più venerata a Miami e dalle voci sparse nel mondo che vivono delle voci di Miami
Nel bel film di Giuliano Montaldo, “L’oro di Cuba”, proiettato al Festival di Venezia e poi gelosamente conservato dalla Rai che ne è produttrice in chissà quali cassetti, Mariela, la figlia di Raúl Castro, attuale Presidente della Repubblica di Cuba, richiesta di un commento sui suoi sentimenti nel momento in cui la Rivoluzione tagliava il traguardo dei Cinquanta anni, si è dichiarata felice, ma anche triste “per tutte quelle mete non ancora raggiunte”. Il film di Montaldo si chiude su una figura di donna che cammina sul Malecón; ha perso il suo amore che è andato via alla ricerca di altre possibilità e che lei non ha voluto seguire e testardamente afferma: “voglio la mia libertà, ma deve essere la mia terra a darmela”.
In una lunga intervista alla rivista “Revolución y Cultura”(nn. 5-6 2009), Alfredo Guevara, figura storica della rivoluzione, fondatore dell’Istituto del Cinema e Direttore del Festiva del Cinema dell’Avana (ndr- ed allievo di Cesare Zavattini alla scuola di arte drammatica di Roma) ricorda eventi che lo hanno visto protagonista della vita culturale del paese e si interroga su scontri, eliminazioni, battaglie da lui sostenuti in prima linea; si direbbe che Guevara ripensi a momenti di estremismo e di decisioni spicce, cercando di spiegare e di spiegarsi come e perché si creino simili momenti, arrivando a concludere che “Bisogna rischiare. E se vi dicono che state sbagliando, dovete rispondere: sono qui proprio per questo. Non esiste che in uno scontro si vinca sempre”.
Questo consiglio sembra che sia già stato messo in pratica da un po’ di tempo, per lo meno da quando Fidel Castro, nell’ultimo suo brillante discorso prima della malattia, il Discorso dell’Università del novembre 2005, ha detto a chiare lettere che il maggior pericolo per la rivoluzione poteva venire dal seno stesso della rivoluzione. Il suo era un discorso sul futuro e pertanto si apriva all’incertezza nel formulare la domanda: Può essere reversibile o no un processo rivoluzionario? Quali sono le idee chiare che possono consentire di preservare il futuro del socialismo? Il dibattito che ha fatto seguito all’agitazione prodotta da quegli inquietanti interrogativi è stato raccolto da uno dei più giovani e lucidi intellettuali del paese, Julio César Guanche (El poder y el proyecto. Un debate sobre el presente y el futuro de la revolución en Cuba, 2009). Nel presentare un altro suo libro (El continente de lo posible), il 17.12.09, a Casa de las Américas, Guanche ha sostenuto che la direzione del paese non può concentrare nelle sue mani tutto il potere, che la partecipazione popolare è indispensabile e che il socialismo non può ridursi alla sola difesa della Rivoluzione: “Le idee si esauriscono –conclude Guanche- e devono essere rielaborate”.
Miguel Arencibia Daupés ha messo in rete nell’ottobre del 2009 un suo testo, “fra il serio e il faceto”, in cui afferma: “C’è a Cuba un forte atteggiamento contestatario che si sta generalizzando, con alla testa dei giovani (più simili al loro tempo che ai loro genitori e ancor meno che ai loro nonni e bisnonni) e diversi segmenti dell’intellettualità che continuano ad essere proletari. Santa eresia di una sinistra che si rifiuta di essere trascinata verso la destra, verso la regressione al capitalismo privato come è già successo prima in altre invenzioni ‘socialiste’!”. E giù ad elencare film, libri, interventi di intellettuali e artisti che pongono sul tappeto le grandi questioni all’ordine del giorno, offrendo contributi, stimoli e provocazioni ad una necessaria riflessione sull’immediato futuro di Cuba. L’elenco è molto ampio, con nomi e cognomi, e comprende anche alcuni appuntamenti come quelli degli ultimi giovedì del mese organizzati dalla rivista “Temas”, il cui n. 60 (ottobre-dicembre 2009) mostra in copertina l’inquietante interrogativo: “¿Socialismo real/Capitalismo real?”, oppure quello patrocinato dalla Cattedra Gramsci dell’Instituto Cubano de Investigaciones Culturales Juan Marinello, o ancora –aggiungerei io- i cineforum dei terzi martedì di ogni mese organizzati dal critico cinematografico Frank Padrón e da Mariela Castro sulla cinematografia gay di tutto il mondo.
Lo stesso Leonardo Padura Fuentes, scrittore di successo tanto a Cuba che all’estero, nel dicembre del 2009 contribuisce al dibattito che si svolge nella rete elettronica con la sua fredda e lucida critica. In un suo contributo dal titolo “Cuba: il futuro invisibile”, Padura parla di “una frattura nel rapporto dei cubani con la loro immagine del futuro” che ha dato vita ad una pratica della sopravvivenza che “a stento ci consentiva di chiederci come ‘arrangiarci’ nella giornata senza la minima idea di come riuscirci domani”, e afferma che: “Negli ultimi anni Cuba è cambiata. È cambiata tanto da arrivare ad accettare la necessità di cambiamenti strutturali e concettuali. È cambiata tanto che molti dei benefici del passato, identificati con la qualità del modello socialista, oggi sono considerate come deformazioni paternaliste, sussidi e gratuità insostenibili”.
A metà dicembre del 2009, il ronzio della rete di fa più insistente: una “Lettera di protesta per gli attuali ostacoli e proibizioni di iniziative sociali e culturali” viene diffusa sul bolg Observatorio crítico ed è opera di una trentina di intellettuali che mettono in guardia contro una “repressione silenziosa” che si starebbe verificando nel paese. Questa possibilità non intimorisce né Carlos Pino che, addirittura, il 14 gennaio intitola il suo contributo al dibattito “Cuba: la rivoluzione è morta”, né Ovidio D’Angelo, che il 21 gennaio 2010 mette in rete un’ interessante analisi dal titolo “Progetti di vita e realtà: le sfide di oggi”.
Pino sembra aderire alla “Lettera di protesta” e ci dà giù duro nella critica all’attuale governo: “Le misure economiche del Governo che, né buone né cattive, sono appena logiche nella logica del Governo. Tuttavia non sembrano indirizzate ad una maggiore democrazia sociale, come il nuovo discorso politico sostiene. Anche se, pur essendo vero che per la prima volta il Governo sembra comprendere che la battaglia principale non è fra capitalismo e socialismo, almeno non lo è per Cuba. La battaglia di Cuba non avrebbe dovuto essere altro che la dimostrazione che si può camminare verso il Socialismo, con democrazia civica, con economia sociale”.
Siti web, giornali ufficiali, riviste, fondazioni socio-culturali, libri, conferenze, mostre d’arte, concerti, ovunque si discute, si obietta, si ragiona sul problema di più immediata urgenza nella società cubana: il futuro della rivoluzione.
Questo avviene nel paese, ma fuori da quei confini a noi viene detto che c’è una sola, coraggiosa voce critica, quella di Yoani Sánchez, “una delle cento persone più note al mondo”, vincitrici di prestigiosi premi che la stanno rendendo ricca. Yoani si è mostrata indulgente con gli estensori della “Lettera di protesta”, perdona loro di cominciare a muoversi solo adesso, ma dichiara di non voler firmare quel documento che parla di “trotskismo, anarchismo e socialismo” ma nulla propone per sdoganare “socialdemocratici, democratici cristiani e liberali”. Yoani continuerà a muoversi sola, alla testa del suo blog tradotto in quattordici lingue. E allora, per dovere di informazione, entro nel suo blog e, il 5 febbraio scorso, leggo di una sua ossessione per la polizia che vede acquattata dappertutto. Quei poliziotti – dice – si muovono in furgoncini Mercedes Benz (!) e mostrano, perfino, i loro cani da pastore. E fosse tutto lì! C’è di peggio: ormai i poliziotti cubani sono infiltrati dappertutto con i loro travestimenti: chi si fa intrecciare i capelli con le perline, chi, come direbbe Arbasino, si esibisce “a vita bassa”, con l’elastico delle mutande ben in vista e addirittura ce ne sono che esibiscono occhiali da sole e telefoni cellulari. Per Yoani, nonostante questi travestimenti, non ingannano nessuno perché se vanno al cinema, si vede che non ne capiscono niente, e se vanno a una mostra è chiaro che non sanno distinguere “un quadro figurativo da uno astratto” e via discorrendo. Non ho potuto fare a meno di ricordare la bella mostra di Rocío García vista a gennaio alla Galleria La Casona, nella Plaza Vieja dell’Avana dal titolo “Very, very Light… and very oscuro (Un policía con alzheimer)”. Rocío, con tratti decisi e colori stridenti, offre nelle sue tele e nei suoi acrilici una completa narrazione, arma storie proibite, ambigue sfuggenti, come quella del cattivo poliziotto che evade dal suo servizio di vigilanza e controllo per andarsi a perdere in bar malfamati e a inseguire donne misteriose e dissolute. È la sua torcia d’ordinanza che illumina scene orgiastiche tentatrici e proibite, è il suo sguardo che insegue una gioventù dark e aggressiva nelle birrerie e nei luoghi di incontro. Nel bel catalogo lo scrittore Rufo Caballero mette in pagina la narrazione suggerita dalle opere di Rocío e ci aiuta a percorrere il labirinto delle notti del poliziotto, perduto nell’oscurità del vizio ma subito dopo pronto a riprendere il suo posto di pattuglia nelle strade della città. L’uomo d’ordine è tentato dal male ed è impavido nella sua discesa agli inferi. Davvero una bella mostra, come bello è l’ ultimo romanzo di Yoss, noto anche in Italia dove lo abbiamo incontrato spesso; con Pluma de León, pubblicato in Spagna nel 2007 e adesso anche a Cuba, Yoss si cimenta ancora una volta con la fantascienza erotica, come aveva già fatto con Al final de la senda. Amantissimo degli abiti di cuoio e delle borchie, Yoss potrebbe ben figurare fra la moltitudine di giovani che si riuniscono i fine settimana nella Avenida de los Presidentes con i più lugubri e insoliti travestimenti, il più alla moda dei quali è quello vampiresco. Anche lì è presente la polizia e, a due a due, i coscritti che arrivano generalmente dalle province, passano la notte agli angoli della strada osservando quel mondo giovanile; forse, come il poliziotto di Rocío, nutrendo fantasie estreme, certo battendo i denti per il freddo, come li ho visti fare nelle prime settimane di gennaio con temperature che scendevano fino ai dieci gradi.
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.