Che strana coincidenza. Scrivo queste righe quando accadono due cose totalmente divergenti l’una dall’altra. E’ il 25 aprile, giorno della Liberazione. Mentre le piazze ricordano gli eroi della resistenza al nazifascismo, la mia mente non può non fissarsi sul 25 aprile del 1992: un banale incidente stradale ci portò via padre Ernesto Balducci (che aveva invocato la difesa della Costituzione durante la prima guerra del Golfo, dove l’Italia per la prima partecipava ai bombardamenti, proibiti dall’articolo 11 voluto da Giuseppe Dossetti, ndr). Per tanti di noi fu uno choc. Si capiva subito che il nostro Paese sarebbe rimasto orfano di un grande uomo di pace. Non solo sul piano spirituale, religioso, quanto piuttosto sul piano civile, politico. Le ragioni della nonviolenza avrebbero avuto vita difficile dinanzi alle nuove sfide rappresentate dalle guerre del terzo millennio che Balducci aveva avuto modo di contrastare con una eroica resistenza culturale durante la tempesta del deserto nel primo cielo di fuoco del Golfo Persico.
Dopo di lui morì don Tonino Bello (vescovo di Molfetta: quasi moribondo guidò, nella Sarajevo assediata, i pacifisti italiani che invocavano la fine dei massacri, ndr). Morì Italo Mancini, morì Alexander Langer (bandiera e profeta del pacifismo sudtirolese, ndr) morì Giuseppe Dossetti. Un deserto della profezia e del coraggio civile si allargava nelle nostre società inaridendo i giardini della speranza.
Il sistema (politico, economico, militare) invece marciava a gonfie vele con la nuova era della destra berlusconiana contraria ad ogni tipo di impegno pacifista, nonviolento, mondialista. Nel preciso istante in cui il pensiero corre ai ricordi di Balducci, sento alla radio la notizia che il governo è pronto a mandare gli aerei a bombardare la Libia. In questa crisi la partecipazione dell’Italia al conflitto in corso si limitava a fare pattugliamenti e a mettere a disposizione basi, uomini e strumenti alle forze della Nato. Ora si parla di interventi concreti, con piloti e aerei pronti a scaricare missili e bombe sulle città dell’ex amicone, ospite riverito e coccolato all’inverosimile con la sua tenda e il suo stuolo di amazzoni, ora diventato, improvvisamente, nemico numero uno.
Il presidente Napolitano appoggia l’iniziativa considerando l’intervento come un «naturale processo della missione». Forse è un bene che i profeti della speranza non vedano quello che sta succedendo in Italia: nessuno scandalo, nessuna reazione, nessuna manifestazione di piazza, nessun corteo, nessuna iniziativa popolare in grande stile, come avvenne per il Golfo, con le bandiere della pace appese ad ogni balcone.
Le organizzazioni per la pace, come Pax Christi, il Movimento nonviolento, i Beati Costruttori di Pace, tentano di dire qualcosa nel balbettio generale, mentre Emergency annuncia, con un comunicato drammatico, di lasciare il paese: «A Misurata – si legge – continua il massacro fino alle porte del nostro ospedale. I malati sono un bersaglio. La decisione del governo Berlusconi precipita il Paese in una nuova spirale di violenza».
Ma è l’intero corso di questa guerra che lascia l’amaro in bocca. E’ come se oramai la guerra fosse diventata un qualcosa di tremendamente ordinario. Mentre gi altri conflitti hanno avuto almeno una parvenza di diplomazia, questo è nato subito come guerra dichiarata. Perfino il fanatismo di Bush contemplava almeno un tentativo di mediazione, affidato o alle nazioni Unite o al dipartimento di stato.
In questa guerra non si è nemmeno provato ad intervenire per vie diplomatiche. E’ nata in fretta e furia con un risoluzione che ancora nessuno sa bene cosa voglia dire. Le Nazioni Unite hanno decretato la loro totale inadeguatezza davanti alle controversie fra i popoli, delegando agli stati sovrani il compito di intervenire militarmente, non si sa bene per fare che cosa (far fuori Gheddafi, sostenere gli insorti libici, proteggere la popolazione civile, per terra, per aria, per acqua?).
Una vera e proprio avventura senza ritorno per dirla con le parole di San Wojtyla.
E’ la prima guerra che sembra nascere da sola, talmente libera di espandersi che non sembra nemmeno una guerra, ma un fenomeno normale nel caos della storia che ci troviamo a vivere.. Addirittura le televisioni non hanno sgomitato per filmarne gli effetti speciali, come è accaduto per tutte le altre.
La guerra oramai è dentro di noi, non è nemmeno più un qualcosa di scandaloso, uno di quegli accadimenti funesti che si contano sulle dita di una mano nella vita di un individuo. No, la guerra torna puntuale ogni cinque anni, al giro di boa di una legislatura. Normale, banale.
I morti non fanno più effetto perché tanto anche i morti non ci sono più. Sono talmente tanti i morti (dai migranti sepolti in mare a quelli falciati dalle rivoluzioni del mondo arabo fino ai morti di ordinaria follia) che non percepiamo più nemmeno il lamento. Nella morte del prossimo abbiamo sepolto l’etica e il compiamento umano.
Siamo sempre di più degli automi che girano in un mondo rotabile comandato da altri dove tutto è possibile. Anche la guerra. E non c’è scandalo.
La guerra, se ci pensiamo bene, è diventata oggi l’unico tema politico davvero trasversale. Viene votata a destra e a sinistra. Gode di maggioranze. Qualche oppositore c’è ma è diventato facile perfino il conteggio.
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.