Jorge Semprún
È morto Jorge Semprún, uno dei più importanti e scomodi testimoni del “secolo breve”. Era nato il 10 dicembre del 1923 a Madrid da una famiglia benestante e fortemente repubblicana. A causa della Guerra Civile sono costretti a emigrare, prima in Olanda – suo padre José Maria Semprún Gurreia era ambasciatore della Repubblica spagnola -, e poi in Francia, dove Jorge studia filosofia alla Sorbona. In seguito all’invasione della Francia, Semprún aderisce alla resistenza francese e quindi si iscrive al Partito comunista spagnolo.
Nel settembre del 1943 viene arrestato dalla Gestapo e inviato prima al campo di raccolta di Compiègne e quindi a Buchenwald, da dove verrà liberato nella primavera del 1945. Tornato a Parigi, si guadagna la vita facendo il giornalista e il traduttore, ma soprattutto si occupa di organizzare le attività antifranchiste del Pce. Entrato in clandestinità, viene inviato sotto falso nome – tra i molti, quello di Federico Sánchez – a Madrid. Ma nel 1962 viene processato dallo stesso Partito comunista a causa di delle sue divergenze con la “linea” del partito. Subisce un processo politico a Praga, ma rifiuta di rinnegare le proprie idee e viene espulso.
Tornato in Francia nel 1962 si dedica quasi esclusivamente al lavoro di scrittore e di sceneggiatore di importanti film tra i quali ricordiamo “La guerra è finita” (1966), “Z – L’orgia del potere” (1969), “La confessione” (1970), “L’attentato” (1972), “Stavisky, il grande truffatore” (1974), “L’affare della sezione speciale” (1975), “Una donna alla finestra” (1976), “Le strade del sud” (1978). Scrittore affermato, nel 1963 riceve il Premio Formentor per “Il grande viaggio” (Einaudi, 1964), cui seguiranno numerosi altri premi internazionali. Dopo la caduta del regime franchista, viene nominato ministro della Cultura nel governo guidato da Felipe González.
Personaggio “scomodo” si diceva all’inizio. Sì, perché Semprún non ha mai fatto sconti a nessuno, a destra come a sinistra, denunciando tutti i totalitarismi, indipendentemente dal colore politico. A mo’ di esempio, riportiamo quanto lui scrisse proprio sul campo di Buchenwald, che, come se nulla fosse, passa dall’orrore nazista a quello sovietico: “Nel 1937, anno in cui l’onda del terrore di massa si rovescia sulla società sovietica, il campo di Buchenwald – nei pressi di Weimar, sulla collina goethiana dell’Ettersberg – viene aperto dalle autorità naziste. […] Otto anni più tardi, nel 1945, dopo la liberazione da parte delle truppe americane della III armata del generale Patton, il campo si svuota dei deportati della resistenza europea antifascista. Gli ultimi a essere rimpatriati, nel giugno del 1945, sono jugoslavi. Ma non per questo il campo di Buchenwald cessa di esistere. Tre mesi più tardi, in autunno, viene rimesso in servizio dalla polizia politica della zona d’occupazione sovietica in Germania”.
Jorge Semprún: testimone – come Primo Levi – dell’orrore, della violenza e dell’oppressione che come una malattia ha infettato il Novecento. Malattia certo non ancora debellata. Ci mancherà, sicuramente.
Tra i suoi più importanti libri, in Italia, in questi ultimi anni, sono stati pubblicati “La scrittura e la vita” (Guanda,1996), “Male e modernità” (Passigli, 2002), “Vivrò col suo nome, morirà con il mio” (Einaudi, 2005), “Vent’anni e un giorno” (Passigli, 2005).
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.