Ondina Peteani
Il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia, nel corso di una manifestazione sindacale indetta dalla Camera del Lavoro, polizia e carabinieri del governo Tambroni, sparano centinaia di proiettili contro i manifestanti pacifici. Lauro Farioli, 22 anni, Ovidio Franchi, 19 anni, Emilio Reverberi, 39 anni, Marino Serri, 41 anni, Afro Tondelli, 36 anni: sono i nomi dei cinque operai reggiani, tutti iscritti al Pci, che vengono uccisi dalle forze dell’ordine, in un periodo di altissima tensione e di scontri con la polizia, alla quale Tambroni, in “situazioni di emergenza”, diede libertà di aprire il fuoco.
Il 7 luglio 2011, nel cinquantunesimo anniversario dei morti di Reggio Emilia, in questa terra di robusti anticorpi, al Museo Cervi si ricordano quei giorni e si dà il via, sotto la chioma maestosa degli alberi di casa Cervi, alla nuova edizione, la decima, del Festival di Resistenza con lo spettacolo “È bello vivere liberi!” che vede la bravissima Marta Cuscunà, già vincitrice del Premio Ustica per il Teatro 2009, raccontarci la vita di Ondina Peteani (biografia scritta nel 2007 dalla storica goriziana Anna Di Gianantonio), prima staffetta partigiana italiana deportata ad Auschwitz.
Ondina nasce a Trieste il 26 aprile 1925, a soli 14 anni entra come operaia al Cantiere Navale di Monfalcone e a 17, incapace di restare a guardare, diventa militante del Partito Comunista Italiano, partecipa alla lotta antifascista nella zona di Monfalcone, nella Venezia Giulia – dove la Resistenza iniziò prima che nel resto d’Italia -, prende parte alle riunioni clandestine comuniste e scopre che la donna può togliersi il grembiule e impugnare un’arma.
“Perché a noi ragazze è riservata la cultura delle signorinette? E perché non Jack London o ‘I Miserabili’ di Victor Hugo?” si chiede l’Ondina di Marta, della minuta e ostinata Marta. Perché “È bello vivere liberi!” è anche una riflessione sulla donna e sull’emancipazione. Ondina si toglie il gonnellone, indossa un paio di pantaloni e un cappello con l’Armata Rossa (“L’Armata Rossa!”, esclama con gioia ritrovata una signora seduta dietro di me) e diventa, a 18 anni, staffetta partigiana partecipando alla formazione della Brigata Proletaria, quando più di 1500 operai, ancora in tuta da lavoro, si avviarono verso il Carso, per unirsi alle formazioni partigiane.
Nel ’43, ad appena diciannove anni, Ondina viene deportata ad Auschwitz come prigioniera politica, è la n° 81672, e anche su quel treno, per lei, c’è ancora spazio per il sogno, per lo stupore, per la speranza, per l’illusione che solo la giovinezza e la voglia di vivere può dare. Il nostro riso incontra l’imbarazzo e lascia il posto alla commozione.
Ancora una volta il teatro porta avanti, con i suoi mezzi, con le sue forme, e con grande intelligenza, una sua ricerca storica, indaga le fonti e permette conoscenza. Marta Cuscunà fa tutto ciò dando grande elevatura epica al racconto, abbandona qualsiasi retorica e ricrea, con grande cura, davanti ai nostri occhi, in modo sognante e adolescenziale, l’atmosfera e lo spirito di quegli anni attraverso le parole di chi li visse in prima persona; crea un filo conduttore tra le vicende e un punto di vista contemporaneo.
Passa dalla narrazione, suddivisa per capitoli, all’utilizzo dei burattini per ritrovare quella forma del teatro popolare che i partigiani utilizzavano nei bozzetti drammatici che scrivevano e interpretavano per festeggiare le vittorie. Ad un certo punto Marta si ferma nella narrazione. Non c’è più possibilità per la parola di proseguire, quando si racconta l’orrore del lager. La deportazione ad Auschwitz ci viene così raccontata da un pupazzo animato, dal corpo scheletrico, timbrato, rimasto senza capelli; il rapporto tra pupazzo e manovratore è il medesimo di quello tra deportato e aguzzino.
“Non ho vissuto le gioie della Liberazione. Ero sopravvissuta brutalizzata a quell’Inferno, ne sono uscita viva perché l’unica ragione è la Resistenza. Resistenza, sinonimo dell’irrefrenabile bisogno di libertà. Essere felici, uniti da un rigoglioso altruismo e dall’entusiasmo di combattere per un mondo migliore. Resistenza, ostinatamente ora e sempre resistenza perché è bello vivere liberi!”
Sono queste le ultime parole di Ondina prima di morire nel 2003, quando un medico le chiese di chiudere gli occhi e di scrivere la prima frase che le veniva in mente: “È bello vivere liberi!”.
È nata a Parma il 15 dicembre 1971, città nella quale tutt'ora vive. Lavora da ormai numerosi anni in ambito culturale, occupandosi prevalentemente di comunicazione e organizzazione presso istituzioni e festival teatrali nazionali.