Anche qui da noi, nel paese del diritto romano e canonico, ma anche degli avvocaticchi e legulei, degli Azzeccagarbugli, del potere giudiziario, onnipotente, onnisciente, intoccabile, inappellabile e sovrano, vivacchiano, numerosi, i beati, perché perseguitati per amore della giustizia, o perché di essa affamati ed assetati, come predicava un tale, duemila anni fa, dal cucuzzolo di una montagna; ma quando cesseranno le persecuzioni e giungeranno viveri e bevande in quantità sufficiente? Molto spesso la giustizia tribunalesca assomiglia ad una ragnatela, in cui rimangono invischiati solo i moscerini, mentre i calabroni ci passano attraverso, bucandola.
E finché si vedranno, nelle anticamere dei tribunali, persone in attesa di chiedere giustizia, invece di averla subito, sarà un segno negativo dei tempi. “Dov’è un tribunale, ivi è l’iniquità” faceva dire Tolstoj a Platon Karataev, in “Guerra e pace”, e sul giusto piove più che sull’ingiusto, perché spesso quest’ultimo gli ha fregato l’ombrello; e poi, alla gente, diciamocelo francamente, piace tanto veder cadere il giusto, sulla strada del calvario, con sua grande ignominia. Vox populi, vox Dei? Non credo, a meno che, a volte, anche l’Ente Supremo non si metta a giudicare, a sproposito, dopo assidue frequentazioni di osterie; la voce della maggioranza raramente corrisponde a quella della giustizia. Ed il giusto spesso perisce, nonostante la sua onestà, molto prima del malvagio, nonostante la sua infamia.
Le leggi sono spesso artatamente congegnate per sfruttare e confondere chi non le capisce o chi non le rispetta per necessità ineluttabile, perché, se la legge è potente, ancor più lo è il bisogno; qui da noi, poi, come scrisse Malaparte, la legge assomiglia all’onorabilità di una puttana da strada; e noi abbiamo sfornato norme a caterve, in osservanza a quel detto: Corruptissima republica, plurimae leges, ossia, in uno Stato corrotto al massimo grado, ci sono infinite leggi. Troppi avvocati, magistrati, giudici e compagnia bella se ne stanno attorno al girarrosto dei tribunali, a girare e rigirare i codici, penale e civile, attenti a tutto, tranne che al trionfo della legalità. E’ irritante, al massimo grado, quella scritta, falsa ed ipocrita, che sovrasta la Corte, nelle aule di giustizia, corredata da bilancia con i piatti in perfetto equilibrio; lo sappiamo bene che non tutti sono uguali, di fronte non tanto alle leggi, ma agli uomini che le interpretano, a loro insindacabile discrezione.
Chi si presenta loro dinnanzi, ed è innocente, deve temere gravi pericoli, perché risulta sfornito di alibi ben costruiti, al contrario di chi è colpevole; legge e giustizia sono raramente dei sinonimi. L’ingiustizia, poi, è forse più sopportabile che non l’essere colpiti dalla “giustizia” di un magistrato, le cui decisioni risultano, anche se errate, irrevocabili ed impunibili. Nel corso della vita, chiunque di noi ha potuto assistere a certe sceneggiate, recitate nei tribunali; ne leggiamo, a josa, sui quotidiani, ne sentiamo di ogni genere, nel corso dei vari tg e dibattiti televisivi.
Mi ricordo il finale della novella del Verga, “Libertà”: “Gli avvocati armeggiavano fra le chiacchiere…e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca… i giudici sonnecchiavano dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore.” Qualcuno ha ancora presenti le prodezze infami del giudice palermitano Corrado Carnevale, ribattezzato, appunto, “l’ammazza-sentenze”, per il suo prodigarsi in favore della mafia? E quanti bravi giudici irridevano e sbeffeggiavano, atrocemente, le donne, vittime di stupri, come denunciava Tina Lagostena Bassi, nel suo libro “L’avvocato delle donne”! Non sopporto le sfilate di certe amazzoni in carriera e virago d’assalto o dei loro omologhi maschietti, in toga e tocco, con fare altezzoso ed altero, saccente ed arrogante, caracollanti lungo gli interminabili e tristi, sordi e grigi corridoi dei palazzi della cosiddetta “giustizia”, muniti tutti di borsoni in pellami pregiati.
Per fortuna, a fronte di cotanta tristizia, dall’oscurità spessa e pesante, a dilacerarne la coltre maligna, si levano fari luminosi e potenti, come quelli di Borsellino, Falcone, Livatino, Ambrosoli, Scopelliti, Terranova, Saetta, Chinnici, Scaglione, Ciaccio Montalto. Brillano tristemente, queste stelle di prima grandezza, a comporre una costellazione, che solo alcuni pochi riescono ancora a scorgere e a decifrare. Ma rimane l’atroce sospetto, o l’ancor più livida certezza, che, all’eliminazione di questi eroici magistrati, non abbiano cooperato non tanto e non solo assassini di professione, il che sarebbe ancora nelle regole del gioco a guardie e ladri, ma anche alcuni personaggi oscuri, che siedono alla destra di Dio Padre Infallibile, ma anche alla Sua sinistra, e che di là vengono a giudicare i vivi e i morti.
Franco Bifani ha insegnato Lettere in istituti medi e superiori dal 1968 al 2003. Da quando è in pensione si dedica essenzialmente alle sue passioni: la scrittura, la psicologia e il cinema.