Londra – Quattordici foto in bianco e nero del Che Guevara sono state battute all’asta a Cirencester, Regno Unito: prenotate e contese hanno reso agli eredi di Korda (il fotografo che le ha scattate) 35mila euro, ma centinaia di richieste sono rimaste inesaudite. E la figlia di Korda ha deciso di ristamparle e di tirar fuori dal cassetto altre negative. Il commercio continua. Il Che che pesca è stata pagato 20 mila euro. Fidel che gioca a golf, 3700 euro. Korda non ha mai visto un centesimo anche se le sue immagini hanno inondato il mondo. I primi (e unici) soldi intascati quand’era vivo sono arrivati nel 2000 dalla Smirnoff, fabbrica di vodka alla ricerca di una etichetta da far bere ai ragazzi. Non pagamento con fattura: premio Smirnoff di 60 mila dollari all’autore che ha mitizzato il Che.
Di Korda se n’era perduta la memoria fino a quando, dodici anni fa, la visita del Papa all’Avana aveva riportato alla ribalta il vecchio fotografo innamorato del mestiere. I giornalisti di passaggio ne scuotevano i ricordi. E Alberto Diaz Gutierrez (vero nome) è tornato ad essere Korda. Come ai bei tempi, Leica in mano, aveva ricominciato a fotografare cambiando protagonista, non il mito dei ragazzi ma il Papa in visita a Cuba. Giovanni Paolo II se lo trovava di fronte ogni giorno. Ne è nato un libro bruttino, immagini senza l’emozione che aveva commosso le piazze del ’68 quando in ogni sfilata, in ogni piazza, sventolava il Guevara fissato da Korda con appena due scatti. E i mitici anni Sessanta cominciati con i Beatles finivano nel segno di una giovinezza sacrificata sorpresa da Korda in un momento di malinconia. Era il 6 marzo 1960, e cinque e mezzo di sera. Il giorno prima la nave La Coubre era scoppiata nel porto dell’Avana. Trasportava armi spedite da Bruxelles per difendere una rivoluzione che le multinazionali si preparavano a minacciare. Nell’ultimo scalo a Miami, mani misteriose avevano fatto scivolare bombe telecomandate. E all’Avana qualcuno schiaccia il pulsante mentre stanno scaricando: un massacro. Il 6 marzo è appunto il pomeriggio dei funerali. Un vecchio filmato mostra Castro e Guevara in fila dietro le bare. Ma quando Castro parla, Guevara non c’é. Spunta sul palco in ritardo sopra il turbante di Simone de Beauvoir. Simone non ascolta. Neanche Jean Paul Sartre: sta mormorando qualcosa a un signore che somiglia a Eluard.
Raccontava Korda: “Ho trovato il Che dentro all’obiettivo: per caso. Occhi febbricitanti. Un attacco d’asma ne aveva ritardato la presenza. Sulla Sierra, certi giorni, sembrava che l’asma stesse per ucciderlo. Quella sera, all’Avana, soffiava vento freddo e il Che aveva tirato la zip della giubba fino al collo. Quando ho stampato il negativo mi sono talmente commosso da farne un ingradimento. L’ho portato alla rivista ‘ Revolucion. ‘Lasciamo perdere’, hanno risposto. ‘Mettiamo solo foto di Fidel’. Per tanto tempo il mio Che è rimasto nello studio. Solo pochi amici sapevano”.
La parola studio fa sorridere. Quattro riflettori attorno al letto dove Korda faceva l’amore con l’ultima moglie più giovane di trent’anni. Come le mogli del passato, ne era la modella. Le immagini accatastate contro le pareti rivelavano l’altra personalità di Korda e spiegavano il successo del ritratto di Guevara. Giovanissimo, nell’Avana “americana” del dittatore Batista, Korda si dedicava alla pubblicità. Ragazze nella fascia di un timido costume da bagno, calendari per il rum, sorrisi per un dentifricio. Immagini che dovevano sedurre. Acqua passata, il suo nome resta per sempre legato all’immagine del Che.
Un avvenimento collettivo – guerra o rivoluzione – da sempre influisce sul comportamento individuale e determina la scelta del come presentarsi. Ogni rivoluzione si rifà ai segni delle rivoluzioni precedenti e quando cominciavano gli anni di Castro, Cuba e i suoi cantori avrebbero dovuto guardare verso Mosca. Ma la politica è una cosa e la cultura è un’altra: si respira crescendo e resta nel dna per la vita. La cultura di Korda disdegnava la retorica del realismo socialista, noioso e ripetitivo; rifletteva il linguaggio del capitalismo, i cui riflessi incombevano e resistevano nella storia del paese, avendo presente i profeti della pubblicità emigrati nella Pop Art. Sono gli artefici osannati dell’esasperazione, ed è la loro enfasi di venditori a vendere a tutti Guevara. Giovinezza, malinconia, il continuo inabissarsi in spazi sconosciuti. E poi le tasche vuote come i figli dei fiori anni ’60.
Quando bussa alla porta della rivista ‘Revolucion’, Korda si fida del fiuto e propone il Che lasciando stare Castro. Perché ? “ Perché l’ultima foto drammatica di Fidel l’ho scattata sulla Sierra, nei giorni difficili. Piegato sotto zaino e fucile, occhi stanchi per il lungo cammino. Lo rivedeva sempre al microfono, in trionfo sulle tribune…”. Confessione che il vecchio della Leica spegneva nel sorriso. Non voleva dire di più. Per anni offre il ritratto del Che. Non importa se ancora non lo capiscono. “ Il mito è pronto…”, ripeteva. Nessuno gli dava retta.
Guevara esce dalla camera da letto di Korda nella borsa di Gian Giacomo Feltrinelli. L’editore milanese era a Cuba per tentare di raccogliere le memorie di Castro. Aveva saputo della foto da Hayes Santamaria, direttore de La Casa de Las Americas. La vede e se ne innamora. Korda ne è felice. “Finalmente qualcuno l’avrebbe pubblicata, almeno in Europa…”. Gliela regala contento dell’ammirazione che finalmente lo ha raggiunto. “Sei mesi dopo comincio a trovarla sui giornali, appare in Tv e continua su ogni maglietta nel 2000. Sono passati trent’anni, le generazioni cambiano eppure il mio Che le attraversa con la stessa emozione. Una volta ad Hong Kong ho comperato una cartolina: il mio Guevara dagli occhi a mandorla. Sarebbe bastato un centesimo di dollaro per ogni riproduzione e sarei un nababbo…”. Girava gli occhi nella stanza vuota scuotendo il ghiaccio del bicchiere di rum.
Era successo che Feltrinelli, tornato a Milano, aveva condiviso il piacere dell’immagine con i ragazzi che facevano politica nelle università. L’aveva avuta in regalo e l’ha regalata: il mito si è riprodotto con una velocità che l’autore, e chi ne era stato colpito, non avevano immaginato. Era diventato simbolo delle guerriglie che sognano nelle montagne. La icona di ogni camera di studente. Il sincretismo degli indigeni boliviani l’aveva messa sui piccoli altari delle cappelle seminate lungo le strade. Korda li aveva visti accendere candele. “Que locura”, sorrideva beato: quale follia. Lungo il confine tra il Perù in quel momento governato dai militari, e la Bolivia del generale Banzer – Bolivia nelle cui pietraie il Che era stato ucciso e dove il suo ricordo era proibito – i camion che passavano da un paese all’altro giravano le fiancate sulle quali appariva il basco della rivoluzione. A Lima non vi facevano caso; in Bolivia sequestravano il camion. La nuova immagine offerta ai doganieri boliviani aiutava un altro tipo di felicità e il Che si trasformava in “todo va bien con coca cola”.
Korda se ne è andato nel 2001, pochi mesi prima che un tribunale di Parigi riconoscesse quei diritti d’autore tanto sospirati. Oggi se li contendono i figli. Una figlia nel nome della rivoluzione e i fratelli dispersi in Florida nel nome del portafoglio. Adesso la battono all’asta come Picasso.
Ines Fuentes Roca, giornalista, lavora alla redazione di Londra per la CNN in lingua spagnola.