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Leonarda Polvani era una giovane designer di gioielli. La sera del 29 novembre 1983 sparì da sotto casa, nell'hinterland bolognese, e venne ritrovata qualche giorno dopo assassinata in una zona collinosa mal frequentata. Le indagini si concentrarono all'inizio sui frequentatori di quell'area e su un'eventuale rapina nello studio in cui la ragazza lavorava. Ma non si giunse mai a nulla, neanche a un'idea del perché sia stata uccisa

Il delitto della Croara: una sparizione e un omicidio senza movente da 28 anni

04-08-2011

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Leonarda PolvaniPremessa

Nella prima metà degli Anni Ottanta, a Bologna, si verificarono quattro omicidi collegati in modo più o meno pindarico al Dams. Per l’opinione pubblica e per i giornali, sarebbe stato in azione un serial killer che uccideva chi ruotava intorno alla facoltà universitaria emiliana. Ma era solo una suggestiva ipotesi, una fantasia, per una serie di crimini che nulla avevano a che vedere l’uno con l’altro.

Le vittime furono Angelo Fabbri, 26 anni, Liviana Rossi, 22 anni, e Francesca Alinovi, 35 anni. Infine la storia di Leonarda Polvani, forse quella maggiormente misteriosa tra i quattro crimini finiti sotto la posticcia etichetta dei delitti del Dams [1].

Scomparsa sotto casa

È il 29 novembre 1983, sono le otto di sera. C’è una giovane donna che arriva a casa in auto, imbocca l’ingresso del garage e va a parcheggiare dietro la vettura del marito. È partita una mezz’ora prima dal centro di Bologna dove lavora come disegnatrice di preziosi per una gioielleria e ora è a Casalecchio di Reno, cintura del capoluogo emiliano. Una volta spento il motore, afferra la borsa, un sacchetto che contiene una confezione da sei di uova e una gavetta di metallo con cui si porta il pranzo al lavoro. Fa per avviarsi di sopra, verso l’appartamento nel quale vive con il marito. Ma a quel punto scompare. Sparisce lungo un percorso che sarà sì o no di cinque metri.

Il marito la cerca fin da subito. Non vedendola arrivare per le otto, prima chiama i suoceri per sincerarsi che non sia passata da loro e poi scende in garage. Vede l’automobile dove la moglie l’ha parcheggiata, il cofano è ancora caldo e dunque deve essere arrivata poco prima, ma di lei non c’è traccia. E non ce ne sarà alcuna per le ore successive. Tanto che alle 11 di sera vengono chiamati i carabinieri per denunciarne la scomparsa.

La donna è Leonarda Polvani, ma tutti la chiamano Lea, ha 28 anni e le mancano quattro esami per laurearsi al Dams. Volatilizzata sotto casa senza che nessuno possa fornire indicazioni davvero utili per ritrovarla. A ritrovarla casualmente, invece, saranno due guardacaccia qualche giorno più tardi. È il 3 dicembre e il luogo è quasi diametralmente opposto a quello della sparizione. Stavolta si è infatti alla Croara, comune di San Lazzaro di Savena, un complesso carsico fatto di valli cieche e grotte chiuse con cancelli e catenacci per evitare che diventino rifugio di sbandati e trafficanti. Uno di questi cancelli è stato aperto e la catena tagliata. I guardacaccia notano che i lembi della catena non sono ancora ossidati, è un lavoro recente. Ed entrano trovando subito una borsa da donna dentro cui ci sono i documenti di Leonarda Polvani.

Quando i carabinieri arrivano alla Croara, si addentrano nella grotta e durante l’esplorazione trovano quattro macchie di sangue, i pantaloni che la donna indossava, la confezione di uova ancora integre, i calzini rossi, il foulard, un fazzoletto e il tronchese usato per tagliare la catena all’ingresso. In ultimo c’è il cadavere della donna. È riversa con il viso a terra, ha la biancheria strappata, il maglione e la giacca sollevati sulla testa e infilati in un solo braccio. Sul collo tracce di strangolamento. Sembra l’epilogo di una violenza, ma a ucciderla è stato un colpo di pistola, calibro 6 e 35, sparato a contatto all’altezza del cuore. Il denaro che la donna aveva con sé è ancora nel portafogli e i gioielli indossati come l’ultima volta che era stata vista.

Una vita senza ombre e la pista dell’auto scura

Come avviene in questi casi, la vita della donna viene passata al setaccio. Forse una pista può derivare da qui. Magari anche un solo indizio. Ma Leonarda Polvani non nasconde ombre. È sposata da un anno e mezzo, non è infedele, il suo tempo si divide tra il lavoro in gioielleria e la casa. L’università non la frequenta, ci va solo per dare gli esami. Con chiunque si parli, la descrizione è sempre quella: seria, posata, gentile, semmai qualche volta la si può sorprendere un po’ triste. Ma niente di più. La sua aspirazione, si apprende dal diario che teneva, era quella di «essere felice per tutto il tempo che mi è possibile. Il resto è tempo perduto».

La chiave del mistero, dunque, non sta nel vissuto della donna. E questo rende più difficile le indagini, non si riesce a individuare un sospetto, un movente, che l’abbia fatta finire in una grotta. Allora si inizia a ipotizzare l’esistenza di uno squilibrato che l’ha rapita e uccisa. Ma la scarsità di ferita da difesa sul corpo della donna fatica a collimare con la tesi dell’aggressione. Dunque la vittima conosceva il suo carnefice? Ma se lo conosceva dal suo passato dovrebbe emergere qualcosa? Un rompicapo, un serpente che si morde la coda.

Qualche elemento deriva solo dalle testimonianza dei vicini di casa della donna. Il giorno della scomparsa, infatti, a metà pomeriggio viene vista un’auto scura che staziona nella via dove abita Leonarda. Si ferma per un po’ e intorno alle 18 se ne va. Ma torna una mezz’ora più tardi quando dal veicolo scende un uomo che passa in rassegna i nomi sui campanelli. Dopodiché si allontana di nuovo. Qualcuno dirà che alle 20, quando la donna rincasa, era seguita da una vettura, sempre di colore scuro, a fari spenti. Poco dopo qualcun altro sosterrà che a bordo di quell’auto c’erano due persone che discutevano animatamente. I volti non si vedono, ma una delle due persone aveva capelli neri e lunghi, come Leonarda. E il ritrovamento di una macchina rubata e data alle fiamme potrebbe suffragare queste testimonianze.

Inoltre ai carabinieri giungono tre segnalazioni anonime. Nella prima, si racconta ai militari di un’auto vista ferma davanti a una grotta della Croara e viene fornito numero di targa. Lo sconosciuto ritelefona poco dopo per accertarsi che le sue parole siano state annotate correttamente e si fa vivo una terza volta per approfondire la sua testimonianza. Dal numero di targa, si risale al proprietario di un locale da ballo il quale avrebbe detto a un carabiniere di sapere chi aveva ucciso la donna e che il motivo andava cercato nel lavoro in gioielleria. L’uomo, interrogato, nega tutto. Non emerge niente nemmeno dai confronti con i testimoni e questa pista sembra destinata a interrompersi in un vicolo cieco.

L’ipotesi della rapina alla gioielleria

Per due anni l’indagine è a un punto morto. Riprende vigore quando uno spacciatore, dopo l’arresto, dichiara di sapere chi ha ucciso Leonarda e indica tre uomini, tutti con precedenti penali per droga. Sequestrare la donna aveva lo scopo di farsi aiutare a mettere a segno una rapina nella gioielleria. I riscontri però evidenziano incongruenze: la grotta non è la stessa, i riferimenti sembrano quelli di un altro omicidio avvenuto in zona e i pregiudicati, intanto finiti sotto processo, vengono assolti.

Ancora niente, dunque. Si deve ripartire dall’inizio, dalla sera della scomparsa. Allora c’è chi ipotizza che, se la donna rimanda l’ingresso a casa proprio quando è a pochi passi dalla porta e sale in auto con uno o più sconosciuti, magari questi le hanno mostrato un tesserino di riconoscimento. E poi l’assenza di colluttazione può forse essere determinata dalla minaccia di un’arma da fuoco, quella che poi le sparerà. Così si cercano collegamenti con storie che abbiano a che fare con appartenenti alle forze dell’ordine, tali o presunti che siano. E in zona ce ne sono di vicende oscure di questo genere che nella seconda metà degli Anni Ottanta riguardano sia carabinieri che polizia. Anche di rapine, sequestri e taglieggiamenti piuttosto eclatanti. Ma di elementi concreti a suffragio non ne vengono evidenziati.

L’idea che ci fosse qualcuno che tentava di ricavarsi un basista per una rapina in gioielleria rimane comunque la tesi più probabile. Qualcuno che conosceva la viabilità di Bologna e dell’hinterland tanto da andare sicuro da Casalecchio a San Lazzaro evitando la tangenziale, congestionata dal traffico quella sera come molte altre volte. E che conosceva anche il territorio, le grotte della Croara, che sapeva dei cancelli e delle catene tanto da portarsi uno strumento per entrare comunque. Chi effettivamente sia questo “qualcuno” però non lo si è mai saputo e il delitto di Leonarda Polvani è rimasto impunito andando ad alimentare le fantasie sui delitti del Dams.

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Nota

[1] Il 30 dicembre 1982 si perdono le tracce Angelo Fabbri, 26 anni, allievo di Umberbo Eco. Viene ritrovato poco dopo in Val di Zena, è stato accoltellato dodici volte alle schiena e non ci sono segni di lotta. Le indagini si dirigono verso la sua ragazza e un pregiudicato, ma senza che si vada mai oltre indizi circostanziali e i sospetti saranno prosciolti. Altro delitto è quello di Liviana Rossi, 22 anni, ferrarese iscritta al Dams che viene assassinata in Calabria nel luglio del 1983 mentre faceva la stagione in un albergo del crotonese. Nel 1988 dopo si arriva alla condanna del direttore dell’hotel. Sarebbe stato un omicidio colposo: la ragazza era caduta fratturandosi il cranio mentre cercava di sfuggire a un tentativo di violenza e non fu soccorsa in tempo. Malgrado il lavoro del pubblico ministero per dimostrare una tesi più grave, l’uomo fu condannato a cinque anni di carcere e gliene furono condonati due.

Un mese prima della morte di Liviana Rossi, si verificò il più noto degli omicidi di quel periodo. È il 14 giugno 1983 quando muore Francesca Alinovi, 35 anni, docente di estetica al Dams e artista che aveva dato vita alla corrente degli Enfatisti, a causa di 47 piccole pugnalate. Quasi tutte superficiali e non mortali, a eccezione di una alla gola che le recide un’arteria. Le indagini sono controverse e portano all’incriminazione di Francesco Ciancabilla, pupillo della donna e suo giovane amante. Malgrado abbia continuato a professarsi innocente, nel 1986 viene condannato a quindici anni e diventa latitante. Sarà ritrovato una decina d’anni più tardi in Spagna ed estradato in Italia per scontare la pena.

Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet, cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)
 

Commenti

  1. Lorenzo

    E se fossero stati quelli della 1 Bianca?

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