“Voltare pagina”. È questa la parola d’ordine del candidato sindaco Giuliano Pisapia. L’unico candidato di sinistra che, dal 1993 ad oggi, ha la possibilità di compiere il miracolo a Milano: sconfiggere la sindaca uscente. L’ultimo sindaco socialista fu Giampiero Borghini, sindaco per un solo anno, “scenderà” nuovamente in politica solo nel 2004: assessore regionale di Forza Italia, nel 2006 Letizia Moratti lo nomina Direttore generale del Comune (premio di consolazione per la mancata elezione a consigliere comunale…). Il resto della storia lo può leggere chiunque su Wikipedia: il 24 marzo 2009 Borghini viene condannato dalla Corte dei Conti, assieme al sindaco Letizia Moratti, per lo scandalo delle “consulenze d’oro”, per il conferimento di incarichi esterni da parte del Comune di Milano a persone non laureate, e dunque illegittimi, nel 2006. Borghini dovrà risarcire 19.000 euro allo stesso Comune di Milano. Nello stesso giudizio, la Corte dei Conti giudica incompatibili i ruoli di Borghini come consigliere regionale e direttore generale del Comune. E poi, naturalmente, ci sono le comode e redditizie poltrone di vari consigli di amministrazione, perché anche gli ex socialisti della Milano da bere dovranno pur arrivare a fine mese. Il Borghini ne occupa tuttora un paio: è nel cda della Fondazione AEM e consulente di SEA-Aeroporti. Poi dicono che a Milano il welfare non c’è più…
È così che funziona la politica in una città (e in una regione) che, per quanto lontana da “Roma ladrona”, non disdegna gli scandali. Memorabile la “Bat-caverna” voluta dal figlio della sindaca, Gabriele Moratti, nella sua residenza abusiva.
Una vittoria di Pisapia sarebbe un risultato politicamente straordinario, una ferita mortale alla corazzata berlusconian-bossiana. Un’impresa difficile ma non impossibile. Fino a due anni fa impensabile. Sebbene sostenuto a malincuore dal Pd milanese, il vincitore delle primarie del centrosinistra milanese ha dimostrato in questi mesi di avere le carte in regola per porre fino al decennale stradominio dell’armata Pdl-Lega. L’aggressione di Letizia Moratti al suo sfidante principale, durante un dibattito tv, è la spia di un nervosismo che induce la destra a dare il peggio di sé, rispolverando il puro stile berlusconiano. “Sei un ladro!”, e le astruse regole della cosiddetta par condicio impediscono all’accusato di replicare. Falsità immediatamente sbugiardata, ma ormai il danno è fatto. È la Tv, bellezza.
Qualcuno l’ha definita una “vigliaccata”. Altro che colpo basso: è stata un’aggressione, quasi certamente premeditata. Allora andiamo a scoprire chi sono i consiglieri della ex moderata signora Brichetto in Moratti. Non ha badato a spese per il suo staff . Oltre alle agenzie Klein Russo e Aegis media communication, ci sono i consulenti politici: il medico Mario Azzoni e il deputato Antonio Palmieri, fino all’Euromedia research di Alessandra Ghisleri, alla Sec di Fiorenzo Tagliabue e a Camisoni Calzolari. Di chiunque sia stata l’idea di calunniare l’avversario, di certo questo episodio non avrà ricadute positive su questi “spin doctor”: chi per mestiere si occupa dell’immagine altrui, mette in gioco anche la propria. È il mercato bellezza! O forse, chissà: in questo caso la farina potrebbe provenire direttamente dal sacco di Arcore.
Tutto iniziò con la seconda vittoria di Vendola alle primarie pugliesi (la prima risale ormai al lontanissimo 2005, quando esisteva ancora l’Unione di Prodi). Cinque anni dopo, gennaio 2010, l’indomito Nichi riuscirà ad infliggere una seconda, e tuttora bruciante, sconfitta al candidato di D’Alema, ribadendo la vittoria (e la volontà della “base” democratica) nelle successive elezioni regionali. È la democrazia bellezza!
Il vento rosso del governatore pugliese – anch’egli in questi mesi ripetutamente calunniato dalla stampa e dai soldati del regime: foto di gioventù sbandierate sulle prime pagine, come a dire “non vorrete mica votare questo brutto frocio?” – non soffia più forte come un anno fa. Ma Milano ha voglia di cambiare. Non lo dicono solo i sondaggi: certe cose si respirano. Se ballottaggio sarà, la sfida di Milano terrà col fiato sospeso l’Italia intera. Palazzo Marino e il Palazzo di Giustizia, la Repubblica si ritrova nuovamente inchiodata a ciò che accade in quei due palazzi. Mentre il “Palazzo” romano (quello di Pasolini) continua a sfornare performance sempre più umilianti, a Milano c’è una parte di città che ha cominciato a crederci. Una Milano che non si merita i manifesti sulle “Br in Procura”; una Milano che non si merita un sindaco senza ritegno. Tornano alla mente le parole di una vecchia canzone di Guccini: “Quando rinasceremo come il sogno d’un uomo bruceremo il futuro in piazza del Duomo”.
Non basta dire che il livello del “dibattito” politico è sceso ai livelli più bassi della storia d’Italia (bel modo per festeggiare il 150° dell’Unità!). La verità è che quello a cui i cittadini italiani sono costretti ad assistere non è degno di essere definito “dibattito”. La misura è più che colma. Dagli schizzi di fango siamo passati alle badilate di letame. Lingue sfrenate che battono il tamburo per brutalizzare un elettorato intorpidito dalla sfiducia: l’allarme astensionismo induce quella che una volta si chiamava “classe dirigente” ad assumere le sembianze dei pegiori ultras da stadio. Ho letto sul Corriere l’amara, condivisibilissima riflessione di Isabella Bossi Fedrigotti sull’ultima canagliata delle iene calcistiche: “Se dagli spalti di una partita di campionato di ragazzi che si gioca a Garlasco si sente urlare «Alberto, salta il cancellino, uccidi Chiara con il coltellino» – cosa che è avvenuta domenica scorsa – con allusione, per chi non se ne ricordasse, al mai chiarito delitto di qualche estate fa (omicidio di Chiara Poggi, per il quale Alberto Stasi è stato assolto in primo grado – ndr), qualcuno potrebbe azare le spalle sapendo che le tifoserie dentro e fuori gli stadi tendono a dare il peggio di sé (…). E invece bisogna ripetere la propria esecrazione, ogni volta che serve, e bisogna scriverla e riscriverla, di modo che non voli subito via, ma resti, nero su bianco, almeno un giorno intero.”.
Già: una fatica di Sisifo, considerando le tonnellate di maleducazione che i media e la politica ci gettano addosso quotidianamente. Bestemmie, calunnie, insulti, offese, urla, aggressioni fisiche e/o verbali. Questo succede quando si trasforma una comunità in una somma di egoismi; quando si sostituisce la televisione alla scuola pubblica; quando si passano le giornate sghignazzando mentre ascolti turpiloqui, alla radio o al bar; quando i buoni esempi scompaiono dall’orizzonte; quando alle regole si preferisce il comando.
A Milano c’è la ‘ndrangheta. E ci sarà l’Expo. Per tanti anni solo poche voci fuori dal coro hanno denunciato il pericolo delle mafie in Lombardia e la necessità di contrastare il riciclaggio di capitali sporchi e di smascherare le collusioni dei politici. Una collusione che in alcuni caso, come a Trezzano sul Naviglio, si è dimostrata bipartisan, purtroppo.
Quella di Milano è dunque una sfida epocale. Pisapia ha l’opportunità di rovesciare rapporti di forza politici. Se riuscirà in questa “mission impossible” Milano e l’Italia non saranno più le stesse: Berlusconi cadrà e anche il centrosinistra non sarà più quello di oggi. Dopo le parole e le parolacce di queste settimane, speriamo che i milanesi riflettano bene. Possibilmente in silenzio.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)