Mentre i media sono concentrati sulla terribile situazione che vive la Siria (ed è giusto parlarne!) nessuno sembra accorgersi della tragedia dei Nuba, Nord Sudan. Non arrivano immagini e informazioni. E senza immagini sembra quasi che non succeda niente. Decimato da una guerra civile che da vent’anni lo oppone al governo di Khartum, il popolo Nuba vive in una regione che si estende nel Kordofan meridionale e, in parte, anche in quello Occidentale. Un territorio geografico variegato, chiamato «Monti Nuba». Due milioni di persone: la metà nei “monti” (colline che non superano i 1.400 mt), impegnati a cercare una difficile pace a una pace incerta, gli altri dispersi nel resto del paese. Un popolo nero che ha lottato con il sud per l’indipendenza. Popolo di popoli, oltre 50 gruppi etnici, ognuno con lingua, cultura e tradizioni differenti. Un esempio è l’architettura: le abitazioni sono costruite con materiali e su disegni estremamente diversi, dai muri a secco e bombati. Comunità multiculturale, dove convivono musulmani, cristiani e fedeli delle religioni tradizionali. Si tratta di allevatori e agricoltori: coltivano terrazze spianate sulle colline, talvolta nelle pianure più fertili. Sulle Montagne Nuba si sono arroccati nel corso dei secoli gli schiavi fuggiti dalle carovane che dal cuore del continente trascinavano la loro “ mercanzia “ verso il mondo arabo. Subito dopo l’espansione dell’Islam e il crollo dei regni cristiani nella nubia, i sopravvissuti si sono rifugiati sulle montagne. Popoli che hanno attraversato i secli nella sofferenza e il calvario continua. Teatro da tempo immemore di scempi e genocidi: tratta degli schiavi, colonizzazione, prolungato isolamento, totale privazione dei servizi scolastici e sanitari, negazione del diritto di proprietà e di uso delle risorse naturali locali, innumerevoli invasioni di razziatori di schiavi e una forzata arabizzazione-islamizzazione. Popolo massacrato e perseguitato in casa e fuori. Il tentativo dell’esercito sudanese di disarmare i soldati nuba ha spinto, il 5 giugno, l’esercito di liberazione dei Monti Nuba ad occupare gran parte del territorio. La reazione dell’esercito sudanese è stata feroce: pesanti bombardamenti, arresti, esecuzioni sommarie. Il 10 novembre, un aereo militare Antonov del governo di Khartoum è entrato nello spazio aereo del Sud Sudan per circa 15 km e ha bombardato il campo profughi di Yida, dove oltre 20mila persone nuba – per lo più bambini, donne e anziani – avevano trovato scampo, dopo essere fuggiti dai loro villaggi del Kordofan Meridionale, perché vittime di una feroce repressione. Almeno 12 i morti; 20 i gravemente feriti. Nessuna notizia sui grandi circuiti. Neanche un secondo in Tv o fotografie che testimonino la repfressione. Che continua: niente tregua da parte del governo di Khartoum contro un popolo colpevole di reclamare l’ autodeterminazione. E continua il genocidio culturale e fisico del popolo Nuba da parte di Omar El Bashir, presidente del Sudan. Va avanti da decenni interrotto momentaneamente solo con il cessate il fuoco del 2002 e gli accordi di pace del 2005. Adesso tutto continua come prima. Peggio. Vogliono annientare in Nuba fisicamente e culturalmente. Il mopvo da un secolo non cambia: annientarli con un profondo senso di inferiorità. Il governo di Khartoum ha deciso la stretta economica contro il nuovo stato: chiusura delle vie di comunicazione verso il Sud dove scarseggiano iviveri e carburante. Quakl’é la colpa dei Nuba? Essere seduti su un mare di petrolio. E di voler vivere da indipendenti. Al referendum del 9 gennaio 2011 non hanno votato. Chiedono l’autodeterminazione solo per loro.
Non resta che resistere. Sorretto da un solido senso di identità e dalla forza della disperazione il popolo Nuba è ancora in piedi. Paradossalmente, l’identità nuba è nata dall’oppressione che costituisce la fondamentale esperienza storica di questo popolo. Nuba è una parola che non esiste in nessuna lingua locale, ma è stata usata per secoli in Egitto e nel Nord Sudan per definire le genti nere, considerate potenziali schiavi. Le diverse società nuba hanno in comune l’assenza di un potere centralizzato. Non hanno mai avuto capi. I “capi” sono stati inventati e imposti n egli anni venti dal dal colonialismo inglese: aveva bisogno di intermediari locali per applicare il principio dell’indirect rule, ma non sono mai diventati parte integrante del modo di vita dei nuba. Come è stato per secoli, oggi la coesione sociale dei gruppi è garantita dal rispetto della tradizione, da consultazioni a livello di villaggio, dal consenso necessario per implementare ogni decisione importante, e da istituzioni come i sacerdoti delle religioni tradizionali (kujur) e dai gruppi di età, gli anziani, i sagi, insomma. Il nuba è abituato ad essere consultato ed ascoltato nella gestione ordinaria della vita sociale, e a maggior ragione quando sono in gioco decisioni importanti per il futuro di tutti. Un esempio che farebbe bene all’umanità. E un occasione per mettersi, una volta tanto, ad imparare dall’Africa. Bella lezione di vita per gestire insieme i beni comuni. E resistere per evitare di essere schiacciati dalla storia.
Filippo Ivardi Ganapini è un giovane missionario comboniano. Opera nella missione cattolica di Moissala, Ciad meridionale.