Una nuova ricerca pubblicata sul Journal of Experimental Psychology: General (1) nel novembre 2010, mostra che vi è più di una verità letterale al detto che “non si ha mai una seconda possibilità per fare una buona impressione”.
I risultati suggeriscono che le esperienze connesse alla “prima impressione” sono legate al contesto nel quale si vivono ed influenzano le persone solo in quel particolare contesto, di conseguenza le nuove esperienze potranno influenzare i vissuti ma sempre circoscrivendo il contesto, fermo restando che le prime impressioni dominano comunque.
In riferimento al contesto di interrelazione, Bertram Gawronski (4), Canada Research Chair presso la University of Western Ontario, dice: “Immaginate di avere un nuovo collega sul lavoro, persona verso la quale avete maturato un’impressione non troppo favorevole. Ora immaginate di incontrare lo stesso collega ad una festa, situazione nella quale lo scoprite piuttosto simpatico. Anche se razionalmente riconoscete di avere sbagliato al primo impatto, il vostro feed back positivo sarà influenzato dal contesto nel quale lo vivete o in contesti molto simili e, comunque, la prima impressione sarà ancora molto forte e difficile da contrastare in altre situazioni”
In sostanza pare che il nostro cervello decodifichi le impressioni che ricaviamo da esperienze che non rappresentano la regola, quali eccezioni alla regola stessa per lo specifico contesto nel quale è stata “violata”.
Nel corso dello studio a rinforzo dell’idea originaria relativa alla persistenza delle prime impressioni, ai partecipanti sono state mostrate dallo schermo di un computer una serie di informazioni positive o negative circa un individuo da loro sconosciuto. Mentre i partecipanti già si stavano facendo un’idea dell’individuo-bersaglio, sono state mostrate loro nuove informazioni circa lo stesso individuo, ad arricchimento di quelle proposte in un primo tempo, di per sé non troppo esaustive, ma per potere studiare l’influenza dei contesti, è stato modificato il colore di sfondo dello schermo del computer.
Quando, a seguire, i ricercatori hanno valutato le reazioni spontanee dei partecipanti dinanzi all’immagine della persona-bersaglio hanno trovato che le nuove informazioni avevano influenzato le reazioni dei partecipanti solo in relazione al contesto in cui le nuove informazioni erano state apprese, altrimenti le reazioni rimanevano ancorate alle prime informazioni, quando la persona veniva presentata con altri sfondi.
Per potere maturare un’impressione dell’altro maggiormente adeguata, più malleabile e più consapevole, tanto che possa essere rivisitata in contesti differenti, le nuove esperienze si devono decontestualizzare e la prima impulsiva impressione perderà il suo potere. Certo è che fintanto che il primo impatto rimarrà cristallizzato in un unico contesto, pare impossibile metterla in discussione malgrado evidenze in contrasto.
Secondo Gawronski la ricerca riveste importanti implicazioni per il trattamento dei disturbi clinici, per fare un esempio: se una persona che soffre di aracnofobia si rivolge ad un terapeuta per affrontare un trattamento clinico, la terapia avrà molte più probabilità di avere successo se la desensibilizzazione la si svolgerà in contesti diversi e non solamente nel setting dello psicoterapeuta.
La desensibilizzazione si basa sul concetto per il quale se si abbina la rappresentazione di una situazione che genera ansia a uno stato di rilassamento muscolare e ad un’immagine piacevole, è possibile inibire la reazione emotiva sgradevole. All’interno di un processo terapeutico si costruisce una gerarchia di situazioni ansiogene, dette situazioni-stimolo che vengono indicate dal paziente in base ad un criterio soggettivo.
Ognuno di noi ha vissuto esperienze di vita, alcune delle quali possono avere procurato uno stato di malessere che per alcuni può essere invalidante, inoltre l’ansia può essere amplificata dal contesto nel quale la si è vissuta, dalla durata dello stimolo ansiogeno, dalla presenza di persone che potranno avere contribuito, loro malgrado, ad acuire la fobia.
Durante la desensibilizzazione il paziente sarà invitato, col supporto del terapeuta, a valutare mentalmente le diverse situazioni-stimolo seguendo la scala gerarchica predisposta (dalla meno spaventosa a quella più terrorifica). Il vissuto ansiogeno verrà associato passo passo ad un contesto rilassante, piacevole atto a sostituire il vissuto disequilibrante acquisito.
É chiaro come la ricerca del gruppo facente capo al prof. Gawronski possa risultare di grande aiuto in quanto ci fornisce uno stimolo, supportato dalla sperimentazione, che può andare a modificare il setting terapeutico a favore di una più rapida ed efficace risoluzione del problema.
note di approfondimento:
(1) Bertram Gawronski, Robert J. Rydell, Bram Vervliet, Jan De Houwer. Generalization versus contextualization in automatic evaluation.. Journal of Experimental Psychology: General, 2010; 139 (4): 683 DOI: 10.1037/a0020315
(2) http://communications.uwo.ca/com/western_news/stories/research_discovers_why_first_impressions_are_so_persistent_20110118447278/
(3) http://publish.uwo.ca/~bgawrons/index.htm
(4) http://publish.uwo.ca/~bgawrons/documents/Curriculum%20Vitae.pdf
Laureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati.
Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico.
Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).