Lo dobbiamo forse a Cicciolina se l’esibizione pubblica di un seno nudo, per ragioni che non siano l’allattamento di un bebè o una performance teatrale, non ci fa più né caldo né freddo. Cionondimeno ci sono in circolazione ancora un certo numero di perbenisti che sibilano «ma copritevi» con lo stesso stile intimidatorio e bacchettone usato da Tiberio Murgia-Ferribotte verso la sorella nel film di Monicelli I soliti ignoti. «Cammiela, copriti…».
L’ultimo bersaglio di questa campagna bigotta sono le femministe ucraine dell’associazione Femen, parecchio fotografate e pubblicate per quel loro vezzo di scoperchiarsi le poppe coram populo.
Un’azione che suscita reazioni contrastanti: dallo sguardo ipocrita sottecchi alla lezioncina impartita da qualche piccolo pulpito: non è così che si fanno le rivoluzioni, che si fa critica costruttiva, che si difendono le cause giuste e via sdottoreggiando. Sì, per quanto visti e stravisti, i seni continuano a fare discutere i più. Come se Cicciolina, ora che ha sessant’anni e percepisce tremila euro di vitalizio al mese dallo Stato italiano, non fosse mai esistita.
Le femministe venute da Kiev in piazza San Pietro per contestare il papa, affluite a Parigi sotto le finestre di Dominique Strauss-Kahn per dargli dello stupratore, convenute a Zurigo per denunciare lo sfruttamento sessuale delle loro compatriote meno combattive, usano il paradosso per farsi sentire. Si dichiarano femministe però pigiano sulla leva maschile rintanata sotto la cintura.
Tutto fa brodo per raggiungere lo scopo. I soliti cinici liquidano la messinscena sostenendo che si tratti di belle donne in cerca di pubblicità, magari lesbiche fuggite dal corteo di un circo omo. I cinici italiani opinano che si tratti di escort scartate dall’ometto nella scelta per l’harem. Niente di più falso. Come spiega Anna Hutsol, fondatrice del movimento, in un’intervista al quotidiano svizzero Le Temps da cui abbiamo stralciato qualche sua dichiarazione.
Figlia di un autista e di una commessa, Anna non aveva mai sentito parlare di femminismo nel villaggio di Brailovka in cui è cresciuta. Però aveva occhi per guardare e vedeva che erano le donne a fare tutto. «Sono loro a occuparsi della casa, dei bambini, dei mariti delle vacche, dei polli, mentre gli uomini non fanno nulla». Proprio nulla? «Bevono, molti di loro sono alcolizzati». Anche suo padre? «Anche mio padre, poi ha smesso».
Anna non è stata abbagliata dalla rivelazione come Saul sulla strada di Damasco. «È stata una presa di coscienza progressiva. Sapevo che non volevo seguire la strada già tracciata: il matrimonio, i figli, le faccende di casa… Perciò sono andata a studiare a Klmelnitski. Ricordo che ero seduta vicino al municipio, vedevo tutte quelle ragazze di 16, 17 anni che andavano a sposarsi e pensavo che la loro vita era finita. Mentre per gli uomini tutto sarebbe continuato come prima. Sentivo che quell’ingiustizia mi feriva, mi rendevo conto delle grandi differenze tra uomini e donne in una società conservatrice, patriarcale e post-sovietica». Post-sovietica? «Sì, una società in cui la gente ignorava le parole “protestare”, “manifestare” o “far valere i propri diritti”. E poi, l’Ucraina non ha vissuto la rivoluzione sessuale del 1968».
Inevitabili, a questo punto, i sorrisini di compatimento del lettore prevenuto: frasi che sanno di imparaticcio. Può darsi. Inevitabile il verdetto che sa di pregiudizio: frustrate sessuali o lesbiche, tutte donne che non fanno la ceretta. Anna sorride. «Lo so, anche in Ucraina la pensano così, ma noi non ce l’abbiamo con gli uomini, semplicemente non vogliamo somigliargli».
Appurate le buone intenzioni, resta da capire che cosa c’entrino i seni nudi. «È un gesto che provoca uno shock, che fa parlare e discutere. Un semplice comunicato non richiamerebbe l’attenzione di nessuno. Per far sentire la voce di una donna nel mondo maschile, bisogna colpire duro. E certe donne non hanno che questo, i loro corpi e i loro cervelli». Ma non è controproducente?
«All’inizio ci sono stati dei fraintendimenti. Ma ora tutti sanno che se una donna mostra i suoi seni, è per difendersi. In principio, in Ucraina, i media non vedevano che i seni. Ora vedono l’azione, il simbolo». Sarà. Più si approfondisce, più si affonda nelle sabbie mobili di certezze fragili date come assiomi. «Vogliamo dimostrare che possiamo protestare, restando donne». Sarà.
Sembrano di maniera anche le repliche alle accuse di pornografia. Se provengono dagli uomini è perché vogliono far sentire colpevoli le donne. Se a dirlo sono le donne, si tratta di donne «formattate» dagli uomini. Poi ci sarebbe l’opinione delle prostitute. «Molte ci sostengono, dicono che il marciapiede è una loro scelta di vita, ma poi finiscono per confessare che odiano fare quella vita».
Anna non si scopre più i seni. Per sopraggiunti limiti di età, dice. Ha una relazione, ma non ne vuole parlare. Non esclude di volere un bambino, ma ora sarebbe prematuro. È troppo occupata a portare le sue girls da un punto all’altro dell’Europa. La madre e la sorella stanno dalla sua parte. E papà? «Non ne abbiamo mai parlato, ma è orgoglioso di vedermi in televisione. Insiste che vuole dei nipotini».
Tra i programmi del futuro immediato, quello di fare tingere i capelli alle sue colleghe bionde. Perché? Sono tanto carine così. «Quando eravamo in piazza San Pietro, i poliziotti romani acchiappavano tutte le bionde che capitavano loro a tiro: svedesi, tedesche… tutte». Sarebbe complicato spiegare che in Italia esistono forme di corteggiamento maschile molto rudi da parte di chi ha in dotazione un manganello. Tra i programmi che appartengono al libro dei sogni di Femen figura invece quello di scoprirsi i seni in un Paese musulmano.
Mentre Anna rilasciava questa intervista, nell’islamico Egitto in subbuglio è accaduto qualcosa di molto simile, ma senza il marchio Femen. Aliaa Elmahdy, una giovane egiziana, ha pubblicato su un blog una foto che la ritrae nuda. Per infrangere un tabù e affermare il suo diritto alla libertà, ha spiegato.
«Mi sono spogliata», ha scritto Aliaa, «per dare eco a un grido contro una società fatta di violenza, di razzismo, di sessismo, di molestie sessuali e d’ipocrisia». Subito si è messa in moto la rete di Twitter che ai messaggi di solidarietà ha mescolato gli inviti alla cautela, le accuse di mancanza di pudore e persino le minacce.
Aliaa, che si descrive su Twitter come «non religiosa, liberale, vegetariana ed egiziana individualista», avrà le sue belle gatte da pelare nei tempi a venire. Non appena si saranno aggiustate le cose in piazza Tahrir, il nuovo potere, di qualsiasi potere si tratti, si dedicherà al suo gesto, per molti rivoluzionario per altri oltraggioso.
Non è facile, in un Paese musulmano, agire come le ucraine di Femen in Europa. Nel suo stesso Paese post-sovietico, Anna ha pagato le sue azioni al massimo con cinque giorni di carcere. In Egitto, dove la libertà costa parecchio di più, staremo a vedere.
Aliaa è anche all’origine dell’iniziativa Facebook «gli uomini dovrebbero portare il velo», creata per protestare contro l’obbligo del velo per le donne. Diversi uomini hanno postato delle foto di se stessi con la hijab per sostenere la benemerita campagna.
Ivano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.