Qualcuno, all’interno delle Brigate Rosse, ha ammesso che contatti con il Mossad, il servizio segreto israeliano, ci furono. Ne parlò il brigatista Alfredo Bonavita al giudice Ferdinando Imposimato raccontando che, tra il 1971 e il 1973, “tramite un professionista appartenente al Psi e comunque all’area socialista di Milano, esponenti non clandestini delle Br ricevettero dall’Istituto l’offerta di armi e coperture anche all’interno di alcuni settori degli apparati statali, nonché addestramento militare, richiedendo in cambio un più accentuato impegno diretto alla destabilizzazione della situazione italiana”.
Perché? Perché gli Stati Uniti, sempre secondo Bonavita, erano troppo concentrati sul penisola. Occorreva dunque indurli ad ampliare i loro orizzonti, attribuendo a Israele un ruolo di maggior rilevanza sullo scacchiere del Mediterraneo. Le Brigate Rosse rifiutarono, stando ancora a quanto dice il terrorista, ma non per questo la benevolenza del Mossad nei loro confronti venne meno. Anzi, del sostegno alla lotta armata in Italia ci avrebbero pensato da Tel Aviv.
Tanto che in effetti servizi israeliani un favore ai terroristi italiani lo fecero. Era il 1973 e rivelarono ai brigatisti che tal Marco Pisetta, un presunto traditore sparito dalla circolazione, si nascondeva in Germania e, più precisamente, a Friburgo. Ma quando un commando delle Br andò a cercarlo, di quello già non c’era più traccia. Una versione leggermente diversa dei fatti la darà però un altro personaggio che passerà per pentito del terrorismo pur infarcendo le sue dichiarazioni di falsità. Si tratta dell’ex di Potere Operaio Carlo Fioroni, condannato per il sequestro e l’omicidio del venticinquenne milanese Carlo Saronio, rapito nell’aprile 1975. Ma Fioroni sarà anche colui che, con le sue quanto meno discutibili dichiarazioni, fornirà non poco materiale per istruire le indagini e poi il processo 7 aprile, conclusosi dopo anni di carcerazione preventiva per gli imputati (tanto da far insorgere Amnesty International) con assoluzioni per quasi tutti e poche condanne molto più contenute rispetto alla portata eversiva ipotizzata dal teorema accusatorio.
Ai tempi della sua poco sincera collaborazione, Fioroni, a proposito di Pisetta, disse dunque di aver ricevuto il compito di attivare una rete in Svizzera (dov’era riparato dopo i guai giudiziari in Italia) per catturare l’elettrotecnico trentino infiltratosi nelle Brigate Rosse e nei Gap (Gruppi di azione partigiana) di Giangiacomo Feltrinelli. Sarebbe stato tutto così pronto per l’esecuzione di Pisetta che i brigatisti Alberto Franceschini e Roberto Ognibene non aspettavano che il via di Renato Curcio. Via che però non arrivò.
Ma chi è Marco Pisetta e perché è così centrale da essere usato forse come merce di scambio tra Mossad e Brigate Rosse? Si dichiara un rivoluzionario, un marxista, uno che vuole partecipare in prima persona all’instaurazione della dittatura del proletariato. Ma il sospetto del doppiogiochismo lo accompagna fin dalla gestazione della lotta armata. E la stranezza della sua condotta emerge chiara alla fine del 1969, quando, cinque giorni dopo le bombe del 12 dicembre e la strage di piazza Fontana, fa in modo che circoli una voce: il responsabile di quegli attentati è Giangiacomo Feltrinelli. A questa voce non si crede: Pietro Valpreda, il capro espiatorio anarchico, è già stato servito all’opinione pubblica e chi di dovere, all’interno delle istituzioni, sa bene invece che il braccio militare del 12 dicembre reca il marchio dell’ascia bipenne di Ordine Nuovo.
Ma non s’arrende, Marco Pisetta. Fermato nella primavera del 1972 di fronte al covo milanese di via Boiardo 33, uno dei tre tenuti sotto osservazione nell’ambito dell’istruttoria milanese sul partito armato (gli altri due sono in via Subiaco e in via Delfico), il sedicente estremista rosso inizia a collaborare e le sue dichiarazioni, riunite a quelle di altri sospetti, portano a identificare e arrestare varie persone, tra cui l’avvocato ligure Giambattista Lazagna, esperto in diritto del lavoro e medaglia d’oro alla Resistenza, oltre che l’organizzatore di un pool di legali che assunse la difesa dei manifestanti inquisiti dopo gli scontri di Genova del 1960, durante il governo Tambroni. Sul fronte delle indagini milanesi, va aggiunto poi che il giudice istruttore Ciro De Vincenzo, diffidente rispetto alle parole di Pisetta, sarà accusato dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa di essere contiguo alle Brigate Rosse. In istruttoria il magistrato verrà prosciolto, però intanto il suo lavoro è stato delegittimato e lui ha rassegnato le dimissioni.
Al di là di questo, Pisetta viene premiato per la sua collaborazione venendo affidato ai carabinieri che, alla metà di settembre ’72, lo portano a Salorno, in provincia di Bolzano. Qui lo raggiunge il tenente colonnello Michele Santoro sotto le cui sollecitazioni Pisetta scrive in un paio di settimane un “lunghissimo memoriale” affidato poi al capitano Antonio La Bruna, l’ufficiale piduista coinvolto in seguito nel delitto Pecorelli e nei progetti stragisti degli anni di piombo. Quando La Bruna riceve il memoriale del “collaboratore”, lo porta a Innsbruck perché sia autenticato e poi lo spedisce al giudice Mario Sossi, titolare dell’indagine genovese sul partito armato, che, a differenza del collega milanese, crede a ciò che dice il trentino protetto dai carabinieri. Sossi, in quel periodo, sta perlustrando i rapporti tra i Gap di Feltrinelli e il gruppo XXII Ottobre, i cui componenti sono conosciuti anche come i “tupamaros della Val Bisogno” (opera loro fu l’omicidio di Alessandro Floris, portavalori dell’Istituto autonomo case popolari, avvenuto a Genova il 26 marzo 1971). Anche l’indagine del magistrato ligure sarà destinata a fermarsi: il 18 aprile 1974 viene infatti sequestrato dalle Brigate Rosse (sarà rilasciato il 23 maggio successivo).
Tornando però indietro al memoriale di Marco Pisetta, nel frattempo trasferito a Barcellona, la sinistra insorge contro la ricostruzione che l’uomo fa dell’eversione rossa. Inoltre, violando in segreto istruttorio, quel testo finisce sulle pagine di cinque testate per lo più di destra: Il Borghese, Lo Specchio, Il Giornale d’Italia, Il Secolo d’Italia e L’Adige sotto la direzione del democristiano Flaminio Piccoli. Allora Pisetta prende la parola direttamente e lo fa ancora attraverso un giornale, ma stavolta di orientamento opposto. Il 10 novembre 1974, infatti, ritratta dalle colonne dell’Espresso e sostiene di essere stato costretto a scrivere quelle accuse. A esercitare quelle pressioni sarebbe stato lo stesso colonnello Santoro e la notizia viene ripresa da ABC, Lotta Continua e Il Giorno. E quest’ultimo rilancia riportando a sorpresa una dichiarazione dalla latitanza di Stefano delle Chiaie, il leader della formazione di estrema destra Avanguardia Nazionale: vero, quell’operazione contro la sinistra è opera dell’Arma e La Bruna c’è dentro fino al collo.
È complicata, questa vicenda. Complicata al punto che il pubblico ministero Guido Viola – titolare dell’indagine sulla morte di Feltrinelli – e il commissario Antonino Allegra, quando vogliono interrogare Pisetta in Alto Adige, vengono rimbalzati anche da ufficiali del Sid (Servizio informazioni difesa). Non deve stupire però il muro di gomma innalzato intorno a lui. Sul rivoluzionario trentino si farà infatti un’affermazione precisa, quando a Milano si celebreranno i processi contro estremisti di sinistra che ha accusato: Pisetta non veniva sottoposto ad alcun programma di protezione ante litteram, ma era uno pagato “a tassametro” (letterale) dai servizi. Insomma, più diceva (e più ciò che diceva era giudicato attendibile), più prendeva. Intanto, però, le persone che il falso pentito aveva contribuito a mandare in galera e sotto processo dovranno attendere fino al maggio 1981 per vedersi assolvere con formula piena e poter riprendere la propria vita.
E all’avvio del processo d’appello per il rapimento e l’omicidio dell’ingegner Carlo Saronio, queste sono le parole che verranno scritte a proposito del “collaboratore” di Trento: “I servizi segreti avevano in pratica, con la utilizzazione inquinante del Pisetta, incautamente concorso a creare questa realtà [consentire l’irrobustimento di Potere Operaio all’inizio degli anni Settanta, N.d.R.]; e si tenga presente che la stessa “utilizzazione” di Pisetta era stata concentrata tutta sul settore dell’estrema sinistra, rappresentata da Lotta Continua e dai Gap di Feltrinelli finiti con lui stesso, mentre nulla Pisetta sapeva – o non lo sapevano i suoi ispiratori – sulle iniziative politico-militari di Potere Operaio”.
Insomma, ci si era concentrati su un pezzo dell’estrema sinistra senza preoccuparsi troppo della sua reale portata terroristica (si era deciso che quei uomini erano un problema a prescindere e si era fatto in modo che questa tesi trovasse mendaci bastioni) e ci si era dimostrati del tutto incuranti – al punto da far intravedere gravi isole di ignoranza – degli altri. Peraltro lo si era fatto così bene che il capitano La Bruna si era portato a casa un encomio solenne dal generale Vito Miceli, altro uomo della P2 a capo del Sid prima dei guai attraversati nelle indagini sulla Rosa dei Venti. Questa è la motivazione del riconoscimento di Miceli a La Bruna: “Incaricato di importanti accertamenti in direzione di organizzazioni eversive occulte assolveva il compito dando prova di assoluta dedizione al dovere, pronta iniziativa ed encomiabile capacita professionale. La sua intelligente ed efficace opera di penetrazione e controinformazione, protrattasi per lungo tempo in circostanze di rischio personale, consentiva l’individuazione e il conseguente controllo di elementi pericolosi per la sicurezza dello Stato.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)