Mi chiamo Paolo, tra un mese compio 35 anni e mi sembra di essere già vecchio.
Come mio nonno, che mi raccontava di quando c’era la guerra. Oppure come mio padre, quando mi racconta della prima volta che ha visto la televisione, in bianco e nero.
Oggi mi ritrovo a parlare di quando ero bambino con i figli di Anna, mia sorella, e loro non ci credono che quando avevo la loro età non avevo il telefono cellulare. Loro non sanno nemmeno come erano fatti i gettoni per telefonare dalle cabine pubbliche.
Quanti anni saranno passati? Non così tanti… Ma tutto mi sembra essere improvvisamente cambiato. Mi sembra quasi una vita, se penso ai tempi di quando ero un bambino: il Papa non cambiava mai, il sorriso del presidente degli Stati Uniti era sempre lo stesso, Zoff era sempre il portiere titolare della Nazionale di calcio, così come il festival di Sanremo lo presentava sempre Pippo Baudo.
Non c’era internet, ma non c’erano nemmeno il computer in casa. Per essere rintracciabili si doveva tornare a casa, altrimenti non c’era modo di essere seguiti. I figli di Anna sono terrorizzati a pensare a come vivevamo, quando non c’era Facebook.
Mi guardano come io guardavo mio nonno quando mi raccontava della guerra, nei momenti in cui provo a raccontargli che il mondo era diviso in due e non era così facile viaggiare in certi paesi, perchè c’erano i muri che dividevano il mondo.
Forse sono diventato vecchio quando ho iniziato a raccontare ai miei nipoti di quando avevo la loro età. Perchè improvvisamente mi sono sentito travolto da un’invidiabile malinconia, perchè fino a qualche mese fa ero convinto di vivere nell’età dell’oro.
Ho iniziato a svegliarmi a 33 anni, l’età in cui Cristo è stato messo in croce. Ma che colpa ne ho? Tutto, prima, andava bene.
Sono cresciuto con la convinzione che tutto sarebbe migliorato. Dall’appartamento alla villetta a schiera. Dalla televisione a tubo catodico agli ultimi modelli super piatti. Da Rimini alle Maldive. E così via.
Mi rendo conto come, fino a quando hanno tirato giù il Muro di Berlino, sembrava di essere in guerra tra due parti. L’Italia era esattamente in mezzo, e tutto è cambiato dopo quegli anni. Alla fine gente come Andreotti e Craxi sono stati spazzati via dal muro di Berlino, non da tangentopoli. E da quel momento è iniziata un’altra fase, dove mi sono addormentato del tutto.
Ora che il mondo non era più diviso, si poteva viaggiare, andare in ogni paese, negli anni ’90 ho speso milioni di lire per viaggiare: da Berlino a New York, da Parigi a Los Angeles, Mosca e Madrid, Formentera, Santorini e Sharm El Sheikh. Tanto avrei trovato un lavoro, avrei avuto tanti soldi e una pensione. Come i miei genitori, che avevano comprato una villetta, anche io potevo iniziare a fare i primi investimenti: comprare un auto di marca e puntare a una villetta in campagna.
A me è andata bene, perchè quando ho finito di studiare ho trovato subito da lavorare. Nella fabbrica di ceramica dove d’estate facevo due mesi come operaio, per prendere abbastanza soldi per pagare un mese di vacanze. A 25 anni prendevo poco più di 3milioni di lire al mese. Un milione e mezzo per pagare il mutuo della casa, le spese e le rate della macchina, un milione per il divertimento e il resto lo mettevo da parte per le vacanze. Tanto ogni anno lo stipendio aumentava, aumentava il lavoro e così anche i soldi. Sembrava che alla ricchezza non ci fosse mai fine.
Vi rendete conto cosa può succedere quando hai un mito come Sylvester Stallone che crolla? Avete presente cosa significa crescere con Rambo e Rocky, e vedere che tutto quello in cui credi crolla da un giorno all’altro? Credo che tutto sia iniziato quell’11 settembre. Ho vissuto altri sette anni di incoscienza, credevo che l’America avrebbe sistemato una volta per tutte Bin Laden. Invece l’America è finita e noi, che eravamo sotto le sue ali protrettrici, stiamo finendo con lei. Me ne sono accorto improvvisamente, quando da un mese all’altro non c’erano più ordini. Non c’erano più treni che partivano dallo scalo merci, e dopo 7 mesi di trattative, la ceramica ha chiuso i battenti.
Prendevo 2.700 euro al mese. Poi per tre mesi sono rimasto senza lavoro e da allora sono diventato interinale, prendo 1.200 euro al mese, senza tredicesima e versamenti, e tutti i giorni prima di tornare a casa devo fare una doccia per togliermi la puzza di sudore di dosso. Non ho più un ufficio, mi sembra di essere tornato a quando facevo l’estate in fabbrica.
Nell’ultimo anno e mezzo ho venduto la macchina e preso un’utilitaria e sto pensando di vendere casa, per coprire la rata del mutuo serve quasi tutto il mio stipendio e da quattro anni vivo con Anna, che fa l’insegnante in una scuola elementare. Quando avevo vent’anni mio padre mi disse che un giorno avrei avuto anche io una di quelle case delle famiglie americane, con il giardinetto davanti e una piscina sul retro. Questo, per me, era il futuro.
Se devo dirla tutta, non me ne frega tanto degli altri, in questo momento vorrei soltanto essere talmente ricco da non dover pensare ai soldi. Vorrei vincere al Superenalotto e mandare tutti a quel paese, che affoghino gli altri in mezzo ai problemi, alla crisi. Io in Berlusconi ci credevo. Ho sbagliato a votare, ma quest’altra volta ho deciso: voto la Lega. Bossi è l’unico che vuole difendere il Nord: noi siamo l’America italiana.
Alla fine a me forse andrà bene. Forse ce la farò ad avere una pensione, forse arriverò anche a trovare di nuovo un contratto a tempo indeterminato, in modo da poter tornare a dormire la notte.
Da due anni non faccio altro che incubi. Ho smesso di leggere i giornali, per non farmi impressionare dalle cattive notizie. Ma continuo a fare incubi. Delle volte sogno di avere cinquant’anni, di avere dei figli. Al mattino esco dalla mia villetta, saluto Anna, i nostri figli, il cane e mi avvio con una macchina decappottabile al lavoro. Sono vice direttore. Sono nel mio ufficio, accendo un sigaro e scopro di essere diventato il Direttore. Così mentre gli altri lavorano, io divento ricco. Insomma, è bellissimo. Peccato che a quel punto la sveglia suona, così mi alzo, mi infilo gli abiti da lavoro e, prima di uscire, mi lavo i denti. Cerco di tenere lo sguardo basso, perchè quando la notte faccio dei bei sogni, non riesco mai a guardarmi negli occhi.
Gianluca Grassi è coordinatore del Portale Giovani di Reggio Emilia. Si è occupato di giornalismo, comunicazione e associazionismo, è tra i fondatori della televisione di strada Telecitofono e dell'associazione Gabella che ospita la Scuola di Etica e Politica Giacomo Ulivi. Ha curato Madreperla. La casa che non c’era per Diabasis.