È finito il Fespaco, festival panafricano di cinema africano di Ouagadougou con la vittoria del film Pégase del regista marocchino Mohamed Mouftakir. È come se in questo momento il mondo arabo sia al centro di tutto. Il Fespaco questa anno festeggia 42 anni ed è alla sua 22° edizione. La tematica di quest’anno è “Cinema e mercato”. Una maniera di ricordare che il cinema africano non ha lo spazio che merita sugli schermi e nei festival di cinema più importanti.
Per quale ragione storica il cinema africano sembra sia stato abbandonato, lasciato sul bordo della strada? Come afferma la scrittrice senegalese Fatou Diome, il cinema africano, come la letteratura, obbedirà all’inizio a temi politici: “Creare per comunicare, comunicare per provare a cambiare la storia”. Dopo il concetto della Negritudine, gli artisti e gli scrittori si sono trovati nell’impossibilità di far passare un messaggio che era abbastanza d’elite. Per leggere bisognava saper leggere, leggere soprattutto nelle lingue della colonizzazione. Sembene Ousmane, scrittore senegalese, per primo cerca di mettere le tecniche cinematografiche al servizio della letteratura; crea la casa di produzione, Domirev (ragazzi del paese), un nome che indica la strada: un’arte prodotta dai ragazzi del paese per i ragazzi del paese. Il cinema di Sembene si distingue per l’utilizzo della lingua wolof, la lingua del Senegal come lingua dei suoi film; è prima di tutto un cinema impegnato, politico, che prova a lavorare sugli aspetti sociali del suo paese e in larga misura del continente africano. Il cinema africano è riuscito ad abbattere i muri della letteratura ed è forse l’arte che riesce a conciliare meglio l’Africa con la sua eredità linguistica coloniale, facendo coesistere nei film le lingue africane con le lingue della colonizzazione.
I temi affrontati sono non solamente il conflitto tradizione-modernità delle nuove società africane, ma anche l’emigrazione/immigrazione e le problematiche recenti legate alla vita urbana. Nel 1969 i registi africani si organizzano, creando nell’ex Alto Volta, oggi Burkina Faso, la settimana del cinema africano, che nel 1972 diventerà il Fespaco (Festival panafricano del cinema di Ouagadougou), uno dei festival più importanti del continente. Tutto questo per far conoscere il loro lavoro, ma anche per utilizzare il cinema come strumento di liberazione dalla mentalità coloniale e per l’unità africana.
Ciò nonostante il cinema africano non riesce ad uscire dai limiti nei quali è confinato. I motivi possono essere ricercati nella tipologia di pubblico interessato, un pubblico molto militante, sensibile alle problematiche del continente nero, e nella sua dipendenza economica; il regista fa fatica ad imporre la sua libertà artistica dovendo rispettare i regolamenti e gli obiettivi dei finanziatori (quasi tutti occidentali). Questa dipendenza favorisce qualche volta la produzione di opere di facile esotismo che non piacciono né al pubblico africano né a quello occidentale.
Si ha l’impressione di una scelta politica quasi cieca nel voler sottovalutare il cinema africano: al Festival di Cannes, quasi tutti i film africani in concorso partecipano nella sezione “Un certain regard”, e film come “Il suo nome è Tsotsi”(Sudafrica), vincitore come miglior film straniero agli Oscar 2006 in America, in Italia è un film di nicchia, che è girato solo grazie a festival ed eventi culturali. Un altro handicap del cinema africano è la mancanza di attori di fama internazionale con i quali il pubblico si possa identificare. Nonostante questo il cinema africano e la maniera di farlo stanno cambiando. I registi, con le nuove tecnologie, riescono a realizzare film a costi minimi per un pubblico esclusivamente africano.
Registi importanti, come Idrissa Ouedraogo, hanno deciso di ritornare in Burkina Faso per fare un cinema rivolto solo a burkinabé/africani. Si è venuta a creare una nuova generazione di registi che cerca di affrontare anche tematiche contemporanee, ad esempio film come “Il pleut sur Conakry” che parla dei sogni di libertà dei giovani in Guinea e “Africa Paradis” che in maniera ironica immagina un’Africa ricca, moderna, democratica che lotta con un’immigrazione che viene da un’Europa povera e caotica. Danny Glover attore e regista afroamericano afferma: “Le immagini che vediamo nel cinema africano riflettono immagini di popoli che re-inventano e ri-creano la loro identità, e questo è un tema che ha una risonanza per tutti i giovani nel mondo”.
Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.