La mia ragazza è bianca : “E se la mamma ci vede?”
29-09-2009
di
Cleophas Adrien Dioma
Leggero. È tutto tranquillo. Siamo seduti sul divano. Davanti a noi la televisione. Fuori i rumori delle macchine. Abbiamo appena finito di mangiare. Ho cucinato del riso, della carne con delle patate dolci. Ha la testa sulle mie ginocchia. Sento il suo respiro. Leggero. Io sto bene. Il tempo passa e mi faccio qualche domanda. Ho qualche paura. Non so cosa dire. Non so cosa fare. Ieri siamo partiti per Varese. La sua terra, la sua gente. Voleva farmi vedere dov’era nata e dov’era cresciuta. Sembra una bambina quando mette la mano alla bocca. Forse la amo già. Amo il tempo che passa. Amo il suo sorriso. Amo come guida la macchina. Amo come mi ama. E ho paura. Non so se sono capace di amare ancora. Come si ama una persona normalmente. Soffro di un passato recente e devo uscire da un presente che non passa più. Mi guarda e sorride. Mette la mano alla bocca e sorrido. Sento il mio cuore battere. Forse la amo già. Una birra. L’ultima. Qualche volta mi chiedo se vede il nero che sono. Forse non se ne rende conto. Poi mi chiama “il mio negretto”. Mon negre a moi.
Oggi siamo andati a Bodio Lomnago, era tutta agitata. Voleva farmi vedere la loro casa. La casa dov’è cresciuta. La scuola. Il quartiere. Poi aveva paura di incontrare sua madre. E se ci vede cosa facciamo? Va be’ ci fermiamo. Boh non lo so, forse è sulla terrazza. Dai voglio vedere la tua casa. La mano alla bocca. Il sorriso timido. L’altra mano ferma che guida. Questa è la nostra casa. Bella. Quartiere chic molto tranquillo. Penso ancora alla parola leggera. Sai, mi piacerebbe portati in Africa. Dove, in Burkina Faso? Anche. Sorriso. Le conversazioni. La vita. Il tempo. Tornando mi sono ricordato della prima volta che l’ho vista. Via Bruno Longhi, Parma. Ero sulla bici. Solite cose. A vagabondare. Faccio sempre le stesse cose. Esco di casa, prendo la bici e parto. Non so mai per dove dove, ma parto. Mi piace l’dea di partire per incontrare le persone. Così. Mi piace l’incontro. Mi piace il sorriso. Mi piace la parola. E l’ho incontrata. Portava in giro il suo cane. Un sorriso. Non mi ricordo più cosa ho detto. Si cercano sempre le parole. Voglio dirti qualcosa ma non so. Voglio conoscerti. Voglio essere il tuo amico. Voglio vivere la tua vita. Inventare le parole. Poi un aperitivo, una cena. Qualche sms e il tempo che racconta. Fa freddo qualche volta e io ti voglio lì. Perché di te non vedo più il colore. Di te vedo il sorriso, la mano alzata. I momenti in cui litighiamo. E mi rendo conto che sono un uomo e lei una donna. Sospiro. Accarezzo i suoi capelli. Sento il suo cuore battere.
La tv parla della lotta alla clandestinità, di questi negri che invadono l’Italia. Delle leggi sulla sicurezza. I militari in piazza. Maroni che spiega come in poco tempo sono riusciti a lottare contro la malavita. Le ronde. Questa situazione di guerra perpetua. Nessuna pace. Nessuno messaggio positivo. Sembra che tutto vada male e che bisogna sempre difendersi. Barricarsi. Non parlare, non sorridere, non ridere. L’altro è nemico. Guerra. Il suo cuore batte leggero. Pace. Spengo la televisione. Chiudo gli occhi. Questa mano alla bocca, il sorriso timido. Goccia, il suo cane che corre contento. Comincio a sentire il cuore che batte. Pace. Un amore infinito. Forse la amo già.
Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.